Scorrono le stagioni, a Siracusa. Passa il tempo, e cambia la tonalità della luce.

Il sole sale e scende, ingoiato ogni sera dai Monti Climiti, così voracemente da far pensare che non lo restituiranno mai più.

Sorge la luna su Ortigia, sulle sue spiagge, i suoi pontili, i suoi trampolini fatti di scheletri di ville mai terminate, e che nessuno, tranne le coppie nascoste, reclama per sé.

E sotto la luna, il sole, e il cielo, vagano personaggi che potremmo essere noi, ma che non lo sono. Persone, e i loro diversi modi di intendere il sesso, e quello che porta inevitabilmente con sé.

Peppe, il maestro divorziato che in cuor suo (e fuori) arzigogola di poesia, sesso e badili, e che incardina il mondo in precise caselle con le sue certezze granitiche. Sesso più, sesso meno. Coinvolgimento, non coinvolgimento.

Le sue certezze riguardano tutto. Ogni dettaglio. Ogni argomento. Che sia il sesso o una pizza.

E poi Arianna, maestra come Peppe, che proprio con lui vuole solo una storia fisica, senza tutto il “Più”. Una che più che colui che la desidera, trova irresistibile il desiderio stesso nei propri confronti.

Luca, il borsista veterinario/cameriere a chiamata, e la sua inarrestabile passione per Brigida, l’affascinante cinquantenne che frigge le patatine nel suo stesso ristorante. Uno che il sesso lo vede come un mero destino biologico, un impulso atavico cui nessuno, una volta che la macchina si è messa in moto, può resistere.

E ancora Brigida stessa, e il suo matrimonio ormai finito, e la sua capacità camaleontica di diventare un tutt’uno con colui che le interessa, acquisendone abitudini, gusti e preferenze.

E altri. Molti altri. Enzo, Sergio, Cristina.

Ex mogli, ex mariti. Ex compagni di vita, che ricompaiono talvolta per ricordarsi e ricordare immagini e odori di ciò che è passato, di ciò che è stato condiviso, per poi svanire di nuovo. A volte per un po’. A volte “per quindici, sedici anni”. A volte per sempre.

Mario Fillioley, col occhio acuto ed indagatore ed il suo stile preciso, ma mai ridondante, ci regala un romanzo corale. Un colorato affresco di idee e contraddizioni umane che si intrecciano tra di loro. Ci parla di personaggi arrotolati su sé stessi, incapaci di cambiare, sospesi nei propri pensieri. Nei diversi modi di intendere la vita e l’amore che si scontrano, si intrecciano, si separano ma senza mai uscirne cambiati, perché la vita li ha resi troppo resistenti ai mutamenti.

E proprio come faremmo con un affresco, noi lettori ne respireremo l’immobilità. Quel senso di sospensione e ironia tipico della letteratura siciliana, che ci tiene sospesi tra un passato che non se ne va e un futuro che non arriva.

Stefano Palumbo