Soldados è un groviglio di tre storie dove pur nel nodo i tre fili colorati restano ben distinguibili, facilmente percorribili dall’occhio di chi legge. Basta solo la pazienza di attendere la scansione alternata dei capitoli o dei passi in cui le tre vicende sono state montate, e tutto si svela. Tre uomini, distanti per il ruolo sociale che rivestono, tra loro sconosciuti, combattono la battaglia della loro vita in uno scenario metropolitano, la Barcellona decadente degli anni ottanta: Esteban Mayor, avvocato colto, s’immerge nel segreto torbido di suo figlio, fino ad assassinare un uomo, per salvarlo; Marcos Javier, irriducibile combattente comunista, dà la caccia a un traditore impunito per vendicare la morte di un compagno; Pepe Collar, agente di commercio, lotta con le ultime forze per rimanere appeso ad una speranza di non fallire e finirà crivellato di proiettili proprio da parte di Marcos Javier, per uno scambio di persona.

Ebbene le loro esistenze si sfiorano appena, si toccano in un solo episodio tragico, due di essi alla fine moriranno. Eppure il fascino del romanzo mi sembra stare altrove, lontano da questa trama congegnata a dovere, adatta al palato sbrigativo del lettore che si accontenta di degustare.

Il lettore che approfondisce scoprirà subito il doppiofondo: si è dinanzi a un grande romanzo del tempo. Il tempo è un sovrano che regola gesti, fisionomie, paesaggi. Ogni azione compiuta dagli eroi scopre il suoi antefatto nella memoria degli individui coinvolti e si dilata a cercare i riflessi di fiamma nel passato della storia collettiva.
«Marcos Javier notò la presenza del passato come un tocco impercettibile di sabbia sulla schiena. Dovette chiudere gli occhi». I pedinamenti di Marcos Javier avvengono lungo sentieri, strade, edifici a cui si sovrappone l’indelebile patina di eventi distanti nel tempo accaduti in quei medesimi luoghi, eventi della guerra civile. E così l’avvocato affermato che riassapora il passato proletario da cui proviene, epoca di dense illusioni di una generazione in ascesa: precipita nei quartieri sommersi della città vecchia sulle tracce del figlio dissoluto, perdendosi come ci si perde all’inferno, fra le labbra di una tossica.

«Esteban Mayor non può quasi mai pensare al tempo, ma adesso sa che il tempo è questo: una degradazione, anche se lui vorrebbe che fosse un dolce ricordo». Infine il mondo di Pepe Collar, costretto dal fallimento ad ipotecare ogni reperto della sua storia personale, la quale coincide con quella dorata dell’intenso affarismo concesso dalla politica liberale dei governi postrivoluzionari: e malgrado ciò capace di rinnovare ogni brivido delle sue emozioni solo guardando il viso di Laura, la moglie innamorata compagna di sempre.

«Laura gli mandò attraverso la gabbia l’opacità dei suoi ricordi, i vigneti, gli olivi, la sua figura inginocchiata sotto il sole, le prime foto dei suoi figli. Laura fece sì che con un solo sguardo lui, Pepe Collar, riavesse tutto ciò.» Non rimangono che due cammei di donna.

Marta Collar, la prostituta-monaca, conturbante e austera vergine macchiata, che saremmo disposti a salvare, data la purezza mentale con cui rifiuta la penetrazione dai clienti e la sincerità autentica con cui ci convince dell’orrore quando accade, peraltro con suo consenso.

Lidia, la tossica erotomane, che si buca e si masturba per annebbiare il pensiero: troppo lucida per gli anni che porta addosso e per il genere di vita che fa. È lei a salvare Esteban Mayor, additandogli una scia in cui rinfocolare la speranza.

«Vivi le tue speranze e le illusioni dei tuoi figli. Vedrai che le cose non sono così morte.»

Nel tessuto del racconto sono figure d’effetto. Anche solo per queste due, il libro varrebbe il tempo speso nella lettura.

Luca Zannese

In libreria

Francisco González Ledesma
Soldados

Meridiano Zero, 1999
Traduzione di C. Polettini
256 p., brossura
€ 8,90

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