Popcorn dura una mezz’oretta: 30minuti è lo standard per partecipare al Prix Italia, il concorso radiotelevisivo mondiale per la fiction e i documentari radiofonici e televisivi, che quest’anno compie mezzo secolo tondo. Nel ’97 la Rai ha puntato su questa mia storiella comica: un pappagallo incontinente di intestini e parole spiffera alla padrona di casa tutti i tradimenti del suo uomo, gracchia rifacendole alla perfezione le voci delle rappresentanti di aspirapolveri, giapponesine, cieche col cane lupo, ex migliori amiche che lui si è portato a casa e ha sedotto sul divano. Incredibilmente, un testo “da ridere” ha convinto la giuria internazionale del Prix, vincendo fra trentadue brevi commedie e tragedie prodotte da enti radiofonici di tutto il mondo.
Ma chi si loda s’imbroda, e come vedete mi sono bastate poche righe per imbrattarmi dalla testa ai piedi di autocompiacimento. Spargiamo un po’ di elogi soprattutto su chi l’ha realizzato: la regia e le musiche sono di Luciano Francisci; gli interpreti: Marina Giordana, Neri Marcorè, Francesco Pannofino, Emanuela Rossi; il tecnico del suono è Pino Incardona; l’assistente alla regia Emma Caggiano.
Da qualche anno la Rai si è messa a leggere nuovi romanzieri, prosatori, poeti, narratori, e ha cominciato a contattarli per fargli scrivere radiodrammi, commedia radiofoniche, miniserie a puntate: fra gli autori arruolati mi limito a citare Niccolò Ammaniti, Rossana Campo, Francesco Piccolo, Dario Voltolini (la Eri li sta pubblicando nella collana “Centominuti”). Ovvio che, essendo stato chiamato in causa, non posso che fare i miei complimenti ai capistruttura Rai. Non so di chi sia stata l’idea: so che il direttore dei programmi radiofonici si chiama Stefano Gigotti, la dirigente che mi ha telefonato e mi ha amorevolmente seguito è la deliziosa Annarosa Mavaracchio. Sempre nel ’97 ha avuto un grande successo d’ascolto lo sceneggiato radiofonico di Diego Cugia, Il mercante di fiori, mandato in onda per settimane all’ora della prima colazione: a furor di ascoltatori, ne è stata fatta una novelization, come per i film hollywoodiani, una versione romanzesca che in libreria ha sfiorato le 20.000 copie. Attualmente (febbraio) ogni mattina mi sveglio con La scala per l’Inferno, un thriller fantascientifico che mescola Medioevo e dischi volanti, uscito dalla magmatica penna del grandissimo Valerio Evangelisti: il protagonista è ancora una volta il perfido inquisitore Nicholas Eymerich; a primavera lo si potrà leggere negli “Urania” Mondadori.
Lo so, questo articolino assomiglia troppo a una leccata di piedi più aziendale che fetish, uno smaccatissimo plauso a Mamma Rai. Ma era proprio ora che qualcuno si accorgesse del pullulare di fantasie, personaggi, storie che brulicano sulle pagine dei nuovi scrittori italiani, e li mettesse alla prova con un pizzico di coraggio produttivo. Si potrebbe discutere a lungo su una certa stanchezza negli esiti del nostro cinema, televisione e radio non dipenda proprio da mancanza di coraggio produttivo: per carità, non sto dicendo che i nuovi narratori possono risolvere tutto; ma forse due o tre idee ce le abbiamo anche noi, e quando ci viene offerta la possibilità di realizzarle qualche risultato si vede. Popcorn è stato acquistato per essere tradotto e trasmesso da una dozzina di enti radiofonici europei e nordamericani, compresa la Bbc.
Com’è, scrivere per la radio? La cosa più bella è che far esplodere la luna o ambientare una storia nel 1527 costa dieci lire; gli unici investimenti rilevanti riguardano gli ingaggi degli attori. Ciò ha un interessante riverbero compositivo: nel mio piccolo, infatti, ho cercato di fare di necessità divertimento, poiché ho moltiplicato le voci di tre-quattro attori, con un pappagallo che imita un sacco di gente e un fidanzato marpione che si finge un travestito brasiliano per non farsi buttare giù il telefono dalla sua ex. La seconda cosa entusiasmante, nella scrittura radiofonica, è che si punta dritti al nocciolo d’uranio delle passioni, si scrivono le emozioni, i rigurgiti caratteriali, ci si immerge nella scaturagine della voce degli altri, sbarazzandosi per così dire di tutto ciò che nella prosa narrativa è sintassi di contorno, descrizione, impalcatura. Non so, è come tirare su un grattacielo fregandosene dei calcoli di ingegneria statica, costruendo un piano fatto solamente di musica che esce dallo stereo al posto del cemento armato, un altro di accappatoi, un altro di ringhiere senza gradini, un altro ancora di pizze al pomodoro e acciughe.
Tiziano Scarpa
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