Uppsala, Svezia, le sei e trenta di un mattino del 1982. Torsten Bergman, di anni 65, di professione piastrellista, siede nella sua casa di vedovo, dove regnano il disordine e l’abbandono della solitudine e si appresta a vivere un’altra giornata di silenzio e di malinconia. Osserva il giardino, «affastellato, confuso monumento a tutte le opere della sua vita» e non riesce a vedervi altro che l’immagine riflessa dei suoi fallimenti. Quasi ha dimenticato di possedere un telefono, che non suona mai. Invece, contro ogni aspettativa, quel mattino il telefono squilla, «con uno squillo acuto e penetrante», di quelli che la percezione dell’anima associa a chiamate importanti, perché inattese, o perché attese troppo a lungo, perciò non più sperate.
Comincia così la giornata di Torsten, segnando l’inizio «di un giovedì senza una vera e propria fine. Ma questo nessuno poteva ancora saperlo».
Non lo sa Torsten, troppo sprofondato nel grigiore della sua esistenza per attendersi qualcosa di nuovo. Non lo sa nemmeno Pentii, l’autore della telefonata, di professione idraulico, che propone a Bergman di completare la posa delle piastrelle di una vecchia villa in ristrutturazione, apparentemente disabitata in attesa che vi si trasferiscano i nuovi proprietari. Dell’incarico, Pentii sa e dice poco, fedele a una filosofia per la quale «nella vita non è il caso di soffermarsi sui dettagli. Meglio attenersi al contesto generale». Continua a non sapere nulla ma comincia a essere incuriosito Torsten quando, giunto sul posto, trova affisso alla porta d’ingresso un cartoncino con scritto «Sofie K.». Nient’altro. Questo e altri dettagli insoliti, subito evidenti alla sua natura di uomo sensibile ai presagi, gli fanno tuttavia intuire che quella non sarà una giornata come le altre. Si abitua lentamente, alla stranezza del luogo e si rassegna all’idea che nessuno venga a illustrargli il compito che lo attende. Quanto a Sofie K., forse abita all’ultimo piano, forse è la proprietaria, forse non esiste; comunque sia, non verrà a salutarlo.
Raggiunge il locale dove dovrà lavorare e resta stupito di fronte a un lavoro non solo incompleto, ma bizzarramente deterioratosi in corso d’opera, e infine abbandonato: «un lavoro iniziato con le migliori intenzioni e che poi, Dio sa per quale motivo, era stato lasciato naufragare nel più grottesco e precario raffazzonamento». Immediatamente, vi scorge il riflesso di molte esistenze, forse di tutte, la vita essendo «un costante e lento declino da un certo ordine a un sempre crescente disordine».
Senza nessuna traccia che possa orientarne il lavoro, il piastrellista si mette all’opera. Una scappellata dopo l’altra, la mano dell’artigiano di Uppsala ritrova a poco a poco uno schema da seguire. La sua mente è però lontana, fissa su Sofie K. e impegnata a formulare ipotesi su quella presenza incombente. Immagina di salire le scale e di incontrarla, la veste dei panni prima di pittrice intrigante, poi di vecchina mansueta, capace di dischiudergli le porte della «stanza più calda» che mai ha voluto aprirsi per lui. Interrompe le sue fantasticherie e il suo lavoro per uscire a procurarsi alcuni accessori, si ferma in un autogrill dove incontra un cugino perso di vista da molto tempo, di professione carpentiere: «un uomo dalle molte facce», anche se con·un fondo solo. Ciò lo riporta a un passato lontano e gli infonde un senso acuto di perdita («la vita era quello che era, e diventava quel che diventava»). In compenso, l’incontro spezza la solitudine claustrofobica della giornata e attenua l’inquietudine accumulata nella casa abbandonata, dove ritornano insieme. I racconti del cugino scandiscono le ripresa del lavoro di Torsten, il cui pensiero è sempre rivolto a Sofie. Alla fine, la presenza di un altro dà al piastrellista il coraggio di salire all’ultimo piano e di forzare la serratura…
Una pagina dopo l’altra, il racconto procede attraversato da una tensione e da un senso del mistero che sospingono il lettore verso l’epilogo: ad esso ci si avvicina inesorabilmente, convinti, come Torsten, che «nessuno sfugge realmente al proprio destino». Quello che accade dopo lo scasso della serratura, lo leggerete. Quello che proverete, sarà la tentazione, di fermarvi a riflettere sul senso delle cose e sull’esistenza dei presagi. Per non correre il rischio di indugiare troppo in questa sosta, potrete ricordare come Torsten riassume la sua giornata memorabile e infinita: «Non so se verrò mai pagato per questo lavoro. Non so nemmeno se sarò io a portarlo a termine. E non so per chi l’ho fatto né se qualcuno saprà mai apprezzarlo… Ma io ho comunque realizzato qualcosa nel mondo concreto». Una visione materialistica del mondo o piuttosto un antidoto al male di una vita passata alla ricerca di ragioni che sfuggono?
Federica Gioia
«La vita non sembra affatto servire i nostri scopi, questo è evidente. La troviamo dove la troviamo e ne facciamo quel che possiamo. Ma il fatto di esistere, di esserci, viene in realtà molto prima di sapere che cosa ne faremo. Il problema è tutto qui, che noi non l’abbiamo chiesta. E poi ci tocca trovare che cosa farne.»
In libreria
Lars Gustafsson
Il pomeriggio di un piastrellista
Iperborea 2017
Collana: Luci
Traduzione di C. Giorgetti Cima
156 p., brossura
€ 15,00
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