In un pomeriggio d’estate la vita di Uccio, diminutivo di Paolo undicenne pistoiese, cambia ritmo e diventa blues. Tutto il blues che posso è nato dalla penna creativa e dalla verve musicale di Antonio Bartalini, milanese, al suo romanzo d’esordio.

L’atmosfera descritta, intorno al 1980, è quella di una sonnacchiosa cittadina toscana in cui i bambini trascorrono molto tempo giocando nei cortili, sia al ritorno da scuola, sia durante l’estate, a meno che la mamma non si incaponisca e spedisca Uccio in colonia con le suore, allora l’amato cortile diventa solo un ricordo a cui ambire. Il cortile, con il suo sole, il pavimento di cemento bianco con la cornice di qualche  edificio sparso mai concluso, alcuni appartamenti al piano terra abbandonati, sono il centro della vita di questi ragazzini, un piccolo mondo per vivere meravigliose avventure in branco. Orde di giovincelli lo percorrono e lo fanno risuonare intensamente: nel cortile c’è vita e movimento, si va sui pattini, o si giocano interminabili partite di calcio con le porte improvvisate, inventando anche nuove lingue per rendere queste partite ancora più memorabili. Questo cortile con la sua cornice di case è il mondo di Uccio, che vive con la mamma e il nonno in un appartamento uguale ad altri, in quelle case popolari e in quei cortili in cui è facile per tutti noi riconoscersi e ritrovarsi. 

Ci siamo vissuti o li abbiamo attraversati per andare a trovare zie, amici, compagni di scuola. L’industrializzazione per anni ha portato a spostare il modello di vita dei paese in questi luoghi, un recinto di case che permetteva il ritrovo. In questi spazi protetti  si socializzava esattamente come si faceva un tempo nei villaggi, quando i ragazzini  si muovevano liberi, in branchi, spesso su ruote, che scorazzavano tra la chiesa, la fontana e il bosco, passando dalla piazza, alle viuzze, ai giardini. Nel cortile di Uccio forse l’orizzonte è un po’ più limitato ma è possibile vivere intense giornate, tra un pasto e l’altro, giocando, gridando, parlando, correndo, ridendo e scherzando. Possibilità di sperimentazione senza sorveglianza degli adulti, oggi forse non più possibile allo stesso modo, per varie ragioni…
In quella densità umana fatta di sonorità varie, di strilli di bambini, di rimbalzi della palla, di vociare degli appartamenti, di sbattere di stoviglie o di tappeti, si insinua un giorno un ritmo diverso.  Non è la voce di Gianni Morandi che casca giù dall’appartamento della Piera del secondo piano, ma un ritmo mai sentito che percorre il cortile, fa ondeggiare il bacino e fa partire il piede in modo ritmato. Una musica diversa, scatenata dal nuovo inquilino del terzo piano, Carlo, che diventa per Uccio la maggior attrazione del cortile. Nasce un’amicizia speciale con questo ragazzo più grande che lo porterà a scoprire il mondo del blues, a conoscere nuove persone, ad ascoltare dischi, a suonare in una band, a voler diventare un indimenticabile suonatore di armonica e a incontrare, come autista, lo schivo e generoso Eric Clapton, ebbene si, proprio lui. Clapton non saprà probabilmente mai che il desiderio di evasione e di riscatto di Uccio lo ha reso il centro di un libro, ma poco importa. 

Le vicende narrate appassionano e lo descrivono come lo vorremmo descritto, come lo vediamo nelle copertine dei suoi dischi: la sua flemma, il suo volto concentrato e perennemente corrucciato, la mano che impugna con stile la chitarra, rivelano la sua incredibile arte, che viene tradotta in personalità all’inizio del libro, prima della partenza e poi nella presenza nella cittadina italiana nella seconda parte del libro.
Uccio e i suoi amici cercheranno di portare Clapton a suonare per loro in un contesto non previsto dal tour. Riusciranno a convincerlo tra rocambolesche avventure?

Uccio, figlio di un carpentiere morto in tristi circostanze, con una madre disperata per la prematura dipartita del marito, un nonno in casa avviato alla demenza senile, non ha vita facile e il suo destino è già segnato a “metà tra la normalità e i servizi sociali”. La musica domina e diventa immagine e immaginazione, pervadendo tutto il libro e permettendo al giovane  di sciogliersi in un pianto liberatorio, in cui le vicende personali di Uccio e le sue aspirazioni artistiche trovano corpo e soluzione. Le note si trasformano e disegnano paesaggi oppure diventano particolari: un uomo con gli scarponi gialli e neri,  una bella donna,  un vecchio carezzevole. Le note consolano, planano, scrivono, leniscono, descrivono, dipingono e curano perché la musica è soprattutto amicizia.

Le immagini che la musica può generare sono quelle che hanno permesso all’autore Bartalini di descrivere tutti i  personaggi e i tanti paesaggi ma l’autore va oltre e descrive il blues e  il suo ritmo restituendo qui, per tutti e soprattutto per Uccio, tutta l’umanità intrinseca in questa musica.

Manuela Tamietti