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Anno 0 | Numero 7 | Aprile 1997

Forse non vi sarà mai capitato di sentire parlare di Severino Di Giovanni, un anarchico abruzzese, realmente esistito, morto in Argentina nel 1931. In effetti, qui da noi è poco conosciuto. E poi, ha vissuto quasi tutta la sua vita da adulto in Sudamerica. Nemmeno la protagonista del romanzo Un caffè molto dolce lo aveva mai sentito nominare ed è soltanto un’adolescente quando le capita di imbattersi in una sua fotografia, su un libro di storia. Una fotografia scura e nebbiosa che mostra un uomo giovane, vestito di nero, serio e privo di modernità come un vecchio cospiratore ottocentesco. In seguito, per spiegare quanto è successo durante quel primo incontro, molti parleranno di fascinazione, di un uomo tenebroso che strega una ragazzina. La verità è un po’ diversa: la ragazzina è sì completamente conquistata, ma non dall’uomo, quanto dalla rivelazione che lo sconosciuto e la tragedia che lui ha condiviso con altri compagni d’avventura appartengono anche alla sua vita. Capisce, per qualche misteriosa via apertasi dentro di lei, che la sua esistenza si incrocia con quella storia. Ma, come dicevo, la ragazza è molto giovane e non ancora in grado di misurarsi con le difficoltà che comporta il cercare “quello che di Severino sopravvive”. Il romanzo comincia qui. Dopo molti anni la protagonista partirà per il Sud-america, con il suo bagaglio di dubbi, ma anche con uno humour che l’aiuterà nelle situazioni difficili; quando, per esempio, uccidendo la propria timidezza, si presenterà alla compagna ormai anziana di Severino Di Giovanni e le chiederà d’essere accettata. Un caffè molto dolce è anche la storia di un lungo apprendistato di vita. Andare in Sudamerica, infatti, per la ragazza significa entrare nell’atmosfera degli anni Venti, un’epoca che per lei, nata molto tempo dopo, è totalmente sconosciuta; significa addentrarsi in un pensiero politico e filosofico come quello anarchico del tutto estraneo, ma significa soprattutto “partire”. Non per un’avventura immaginaria, dunque, ma vissuta, e dalle molte conseguenze. Significa anche, forse soprattutto, immergersi in un’epoca ancora mossa dalle passioni e nella storia di una passione tragica che porterà Severino Di Giovanni a morire a ventinove anni, fucilato. In un tempo come il nostro, nel quale le passioni sembrano essersi ritirate dal mondo, la protagonista sceglie di vivere la sua fino in fondo, con un atto di fiducia in se stessa e nel valore delle sue intuizioni. Fin qui la storia, o forse solo la storia della storia. E la sua autrice? Per l’autrice di Un caffè molto dolce scrivere il romanzo ha significato immergersi in un lungo lavoro, leggere e studiare tutto quanto era possibile e poi partire. Sì, perché l’autrice è partita con la protagonista, se ne sono andate in Argentina insieme e là è successo tante volte che, guardandosi negli occhi, si siano dette: “Ma lo sai che non ti conoscevo ancora?”. Frase che, ovviamente, può essere interpretata in molti modi. L’autrice era la più innamorata della vita in Argentina, coltivava le sue amicizie, spesso pensava ad altro; la ragazza, invece, era implacabile, mai dimenticava il suo scopo. L’autrice si lasciava vivere, perdeva tempo a chiacchierare nei caffè e le piaceva farlo. Alla ragazza questo non succedeva mai! L’autrice ha lavorato, ovviamente, ma è la ragazza che ha rischiato di più. E non ha mai mancato di farglielo notare. Due donne tanto diverse. Costrette a una convivenza che, pur non assumendo mai la forma di una battaglia, ogni tanto sembrava arenarsi di fronte al piacere di vivere dell’una e all’impossibilità di rassegnazione dell’altra. Insieme hanno poi deciso di tornare in Italia ma non ne sono contentissime. Ogni tanto si guardano negli occhi, allargano le braccia, e si dicono: “Mah, certo che laggiù era un’altra vita!”. Per me, che sono amica di entrambe, quello di cui sentono la mancanza qui non è soltanto il Sudamerica ma il piacere di rischiare, “il non sapere come va a finire”. So che spesso sia la ragazza sia l’autrice laggiù hanno avuto paura e ogni tanto se ne ricordano; pare che delle due fosse la ragazza ad avere più fegato. Dopo la pubblicazione del romanzo a lei non ha scritto nessuno, all’autrice sì. “Giusto così” commenta la ragazza “la mia è una faccenda privata e, come tale, deve rimanere segreta”. Sì, perché nonostante ormai chiunque possa leggere la sua storia, lei è convinta che il cuore dell’avventura vissuta rimanga un mistero e che solo a lei possa essere rivelato. E fatta così, un po’ strana, però a conoscerla non è antipatica.

 

Una pagina da “Un caffè molto dolce”

La prima volta che ho visto Severino, senza rendermene conto mi sono messa a sgranare le perle della mia collana come se fosse stata un rosario. Lui vestiva di nero, con un cappotto corto dalle tasche sformate, la camicia bianca e una sciarpa che gli nascondeva la cravatta e gli attraversava il petto obliquamente, come una staffilata. Aveva uno sguardo metallico, chiaro e fermo, le sopracciglia corrugate dall’intransigenza, l’ovale segnato dalla linea diritta delle labbra serrate. Sembrava stanco e cattivo, perfino vecchio, invece era ancora un ragazzo. Seduta sul letto, mi sono chinata per osservare da vicino quella faccia pallida, mai vista prima d’allora, che un’altra donna, dentro di me, aveva riconosciuto con un sussulto.

Lo guardavo e lo riguardavo. La sua immagine pareva affiorare dalla superficie di uno specchio antico e piano piano prendere consistenza. Una voce interiore, al centro del petto, mi gridava che quell’uomo aveva «a che fare» con la mia vita e scandiva le parole nitidamente, una a una, mentre io l’ascoltavo senza fiatare, consapevole di trovarmi in presenza di un prodigio. Con i gesti lenti di un mimo, Severino s’era tolto il cappello mostrandomi la testa bionda e i capelli pettinati all’indietro. Sentivo scoppiarmi il cuore perché sapevo che era un morto, eppure trovavo la forza per rovistare furiosamente dentro di me alla ricerca della sorgente dalla quale scaturivano la familiarità, la sorpresa, il remoto ricordo che mi facevano mormorare parole che non capivo.

 

L’autobiografia del 1997

Mi chiamo Maria Luisa Magagnoli, sono nata a Genova e vivo a Milano. Lavoro come giornalista e mi occupo soprattutto d’arte antica e antiquariato. Un caffè molto dolce è il mio primo romanzo pubblicato e il secondo che ho scritto. Ne sto scrivendo un terzo, ma, per ora, sono in alto mare.

Il libro nel 1997

Maria Luisa Magagnoli
Un caffè molto dolce
Bollati Boringhieri 1996, pp. 257
L. 32.000

In libreria

magagnoliMaria Luisa Magagnoli
Un caffè molto dolce

Bollati Boringhieri, 1996
Collana: Varianti
264 p., brossura
€ 10,33  

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Di Un caffè molto dolce ne abbiamo parlato anche qui


Questo articolo è stato ripubblicato (con grafica diversa) nella rubrica thema
del numero 12 di exlibris, settembre 1998