Ex-Libris-0-7-4

Anno 0 | Numero 7 | Aprile 1997

Chi è interessato al discorso storico e in particolare al periodo storico del Risorgimento, non può assolutamente mancare di leggere questo romanzo. A tutti gli altri consiglio di leggerlo ugualmente dal momento che il libro offre spunti molteplici. A voler stabilire il genere de I Viceré infatti, oltre che dì romanzo storico, si può parlare di saga familiare (del tipo dei Buddenbrook o di Cent’anni di solitudine tanto per intenderei): un genere ibrido caratterizzato da numerose componenti. La storia de I Viceré è, infatti, la storia della famiglia dei viceré Uzeda, rappresentanti del governo borbonico in Sicilia, le cui vicende sono prese in esame dallo scrittore Federico De Roberto per dimostrare l’assunto pessimistico secondo cui la storia non cambia mai e il potere rimane nelle mani di chi lo ha sempre detenuto. Il romanzo copre un arco temporale che va dal 1855 al 1882, un periodo storico caratterizzato da forti fermenti politici che vede la nascita di un moderno stato-nazione nonché l’avvento al potere del primo governo progressista.

La vicenda familiare inizia con un lutto: la morte della principessa Teresa Uzeda, la matriarca, la detentrice del titolo nobiliare dì viceré, colei che aveva represso tutte le aspirazioni dei figli, dirigendone i destini, colei insomma che aveva esercitato sulla famiglia una sorta di potere assoluto e dispotico.

È cruciale e necessario che l’inizio del racconto venga collocato in corrispondenza di questa morte: essa infatti è prerogativa necessaria affinché la storia cominci e prosegua sistematicamente secondo un piano di distruzione e sovversione di quella che era stata la volontà della principessa Teresa. Assistiamo infatti a matrimoni annullati solo per essere più tardi ricombinati secondo i desideri dei figli fino ad allora soffocati e mille altri maneggiamenti della volontà testamentaria della defunta.

Questa morte, oltre che sul piano del microcosmo familiare della famiglia Uzeda, acquista anche una valenza sul piano del macrocosmo storico. Rappresenta l’inizio della fine di un’epoca, del dominio reazionario borbonico in Sicilia e almeno in teoria dei privilegi di casta. n principio della nascita da solo non basta più, anzi per molti i natali illustri hanno costituito un narcotizzante della volontà di affermarsi come nel caso dì Ferdinando Uzeda che alla fine della seconda parte muore pazzo. La pazzia, insieme all’ereditarietà, costituisce uno dei temi principali dei romanzo. Essa è il sintomo della degenerazione della famiglia Uzeda, una famiglia che per conservare il suo privilegio di Casta si chiude ai possibili ricambi genetici. Ma l’obsolescenza e l’estensione della razza viene contrapposta e assimilata al suo riciclaggio. I più forti aggressivi e opportunisti degli Uzeda e cioè, il duca di Oragua e Consalvo, riescono a spuntarla e addirittura diventare deputati al parlamento (badate bene, deputati progressisti!).

Constatazione amara dì De Roberto è che proprio ciò che dovrebbe vietare gli antichi abusi e, cioè, la democrazia parlamentare, ha in sé i mezzi di manipolazione del consenso che rendono possibile la trasmissione del potere senza deroghe o ricambi. “Quando in Sicilia c’erano i viceré, gli Uzeda erano viceré. Adesso che abbiamo il Parlamento, lo zio è deputato” dice il principe Giacomo a suo figlio Consalvo ancora bambino.

De Roberto è amarissimo in questo romanzo dalle sfumature a volte grottesche a volte letteralmente comiche e non risparmia nessuno né la borghesia né le classi sociali più basse colpevoli di una sorta di riverente adorazione verso i nobili e privi di qualsiasi slancio. Nessun personaggio incontra la simpatia dell’autore anzi di ognuno egli accentua vizi e difetti fino al ridicolo, diventando ogni tanto persino irriverente. Il romanzo è una galleria di pazzi, vili, maniaci, opportunisti e prepotenti talvolta veramente godibili. Una peculiarità del romanzo, che non può sfuggite al lettore attento, è che esso è caratterizzato da una forte concentrazione spaziale. Il romanzo si svolge interamente a Catania o più precisamente nei vari palazzi della famiglia Uzeda che De Roberto descrive come privi di qualsiasi armonia e proporzioni avendo subito i maneggiamenti di generazioni di Uzeda. Ognuno infatti ha voluto apportare modifiche nel modo che gli era più congeniale fino a ridurli a una accozzaglia di stili, a vere e proprie mostruosità architettoniche. I Viceré è un romanzo di interni dove le prospettive limitate sono funzionali al clima nevrotico e quasi, claustrofobico che regnava nella famiglia, nonché al clima politico angusto e ristretto di una remota regione della neonata Italia.

Titti Castiello

“No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa.”

In libreria

de-robertoFederico De Roberto
I Viceré

Mondadori, 2001
Collana: Oscar Classici
736 p., brossura
€ 12,00  

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