La vertigine intima di un diario, la precisione di una guida tascabile e l’evocazione dei testi e della musica degli Smiths.

Volo verso Manchester con l’idea di perdermi nei luoghi raccontati dagli Smiths, di compiere il mio personale walkabaut musicale. Le canzoni di Morrissey e Marr sono la mia mappa, i luoghi che conosco senza averli mai attraversati prima, come nella tradizione aborigena australiana, dove i canti orientano il cammino di esploratori ignari”. Così Giuseppina Borghese, sin dalle prime pagine del suo esordio A Manchester con gli Smiths – un walkabaut musicale, edito da Giulio Perrone Editore, ci prende immediatamente per mano nella sua intensa evocazione del gruppo che ha rivoluzionato il sound britpop, nel quarantennale della loro fondazione.

Manchester, capitale del nord-ovest dell’Inghilterra, agglomerato urbano che è il secondo del Regno Unito, ha tenuto a battesimo gruppi come i Durrutti Column, Joy Divsion, gli Oasis e naturalmente gli Smiths che hanno cambiato con la loro musica la faccia della città, che da avere una vocazione contadina, ha virato verso la nuova impronta industriale. In quegli anni, come racconta Borghese, la musica fa un passo con gli Smiths: non si parlava più solo di  tematiche sentimentali e spensieratezza, ma delle piccole e grandi rivoluzioni sociali ed economiche.

Da “Un temuto giorno di sole” a “Work is a Four letter Word”, I capitoli di questo nuovo libro della collana  “Passaggi di dogana”, fondono diversi obiettivi narrativi: quelli di ripercorre i luoghi iconici della band, ma anche quello di spiegare cosa succede alla protagonista nel grande Nord-Ovest britannico.  

Il libro ha diversi punti di forza: possiede la vertigine intima di diario (si parte da un viaggio con un’aspettativa alta: diventare subito una giornalista musicale in una città che organizza continuamente concerti bellissimi), la precisione di una guida tascabile, l’evocazione dei testi e della musica di una band che riproduce un clima culturale della città in cui dissenso e musica si sono miscelati e in cui la narrazione del sound coincide con quella della classe operaia, le sue condizioni di vita e i suoi sogni.

Questo angolo di Fairfield Street, caratterizzato da un’identità fortissima, difesa con le unghie e con i denti da concetti discutibili di rigenerazione urbana, è il teatro degli Smiths Disco. Dal 1991, ogni primo venerdì del mese viene organizzata una serata interamente a tema Smiths (…). Mentre varco la soglia dello Start&Garter sento che sto per prendere parte a una lezione di antropologia e mi chiedo chi siano realmente i fan degli Smiths oggi, e dunque, chi sono io”.

Borghese rilancia un tema focale, descrivendo una scena di raduno musicale, fumo e birra: il senso di appartenenza a un gruppo, o una classe sociale,  a mondi colti o affascinanti, in apparente contraddizione che poi si sentono invece uniti e coesi. 

Gli Smiths nascono nei sobborghi di Manchester: il frontman Morrissey (voce), Johnny Marr (chitarra), Andy Rourke (basso) e Mike Joyce (batteria) hanno consegnato alla storia pezzi memorabili, ma soprattutto, come Borghese ci mostra, rivoluzionari per contenuto e approccio. Pensiamo in primis al ruolo delle donne. Quando l’autrice incontra Morrissey, in giro per Roma e lo saluta raccontandogli di come i versi di Ask siano tra i più belli della storia contemporanea il libro ci trasporta subito in una dimensione particolare: incontrare un mito che passeggia come una persona qualunque è paragonabile a sfondare un vetro e rendere reale quel che si sogna. O quanto davvero la musica curativa delle nostre ferite sia davvero proveniente da questo mondo. 

L’autrice attraverso i suoi ricordi e le sue rivisitazioni, racconta di un’esperienza musicale e fotografica insieme che è anche politica: Manchester è lo scenario in cui, malgrado i problemi sociali, la musica ha srotolato il tappeto dell’indelebilità in positivo. 

Antonella De Biasi

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