In una società che incolpa – soprattutto i millennials e la generazione Z – di non fare abbastanza figli, Mostruosa maternità (edito Giulio Perrone Editore) è ciò di cui abbiamo bisogno. 

Ci dicono che preferiamo avere cani e gatti piuttosto che figli (vedere le ultime esternazioni di Papa Francesco che afferma che:  “Oggi la gente non vuole avere figli, almeno uno. E sono tante le coppie che non vogliono. Ma hanno due cani, due gatti. Sì, cani e gatti occupano il posto dei figli” e “avere un figlio è sempre un rischio, ma lo è di più negare la paternità e maternità”) e non tengono conto dei molti fattori razionali che a volte impediscono e creano riserva su questa scelta. Perché di questo si tratta: avere figli è una scelta.

Coraggiosamente Romana Petri ci narra in dodici racconti  una faccia completamente celata della maternità: non sempre avere figli è un dono, a volte può essere anche una maledizione. Ed è qui che si insidia quel senso di frustrazione e di oscurità che la maternità molte volte si trascina dietro. 

Il corpo della donna cambia, gli equilibri si spezzano e non sempre si riescono a ridefinire, il senso di inadeguatezza è dietro l’angolo: chi l’ha detto che una madre si debba sacrificare per i propri figli? 

In una società insita da questa retorica del sacrificio, Petri ci mostra in modo crudo e tutt’altro che speranzoso, un’altra prospettiva di maternità. Perché quest’altra prospettiva c’è, esiste e dobbiamo tenerne conto. E non dobbiamo far finta di non vederla. Non dobbiamo essere ciechi di fronte a questa evidenza. 

Avere figli non è sinonimo di fare sacrifici ed è assolutamente normale avere dubbi rispetto alla scelta di mettere al mondo un nuovo essere umano. Soprattutto se questo mondo attualmente è compromesso da una crisi climatica, una pandemia, guerre e stipendi non adeguati sommati a difficoltà nel trovare lavoro (per banalizzare la situazione). 

La sociologa Orna Donath nel suo saggio Regretting Motherhood: A Sociopolitical Analysis asserisce che maternità e amore nei confronti dei bambini sono sinonimi nelle società contemporanee occidentali.  Questa stretta associazione è considerata sacra ed è direttamente proporzionale alla morale femminile: una donna in grado di amare è automaticamente una donna in grado di avere figli ed essere una buona madre. Se non si rientra in questa imposizione sociale, si può essere etichettata in due modi: cattiva donna o cattiva madre. 

Quello che ancora a molte persone non è chiaro è che l’istinto materno non esiste. Lo stesso termine istinto implica qualcosa a cui si è destinate, che si ha dentro di sé e che prima o poi fuoriuscirà perché non è legato alla scelta ma a qualcosa di primordiale che si trova da sempre nel corpo di una donna. Non è minimamente tenuta in considerazione la volontà di una donna di essere childfree (ovvero, di non avere figli perché non ne desidera). 

E se l’istinto materno non esiste, quella che è presente in molte donne è la volontà di riprodursi, che si contrappone alla volontà di non riprodursi (e quindi di essere childfree) di molte altre. 

Tutto ruota attorno al famoso concetto di scelta che abbiamo messo in discussione a inizio articolo. Chi non vuole avere figli o chi vive la maternità come una condizione debilitante, si sentirà continuamente in dovere di dare spiegazioni o proverà vergogna, sentendo addosso quel senso di colpa che soprattutto a noi donne è troppo spesso appiccicato addosso.

E nel bel mezzo di questa situazione, arriva facendo rumore lei: Romana Petri. 

Se avete intenzione di leggere questo libro non aspettatevi troppi fronzoli, perché non ce ne sono: ne abbiamo abbastanza di versioni sfavillanti del concetto di maternità. Basta fandonie! E soprattutto: basta giudicare! 

La maternità è fatta di “malinconie lunghissime, silenziosità” ma anche da “due versioni, due ipotesi, solo due. Ma che sono bastate a far prendere alla vicenda un corso che sembra destinato a non fermarsi, nemmeno adesso che mi hanno dato sedici anni.

Romana Petri per questi racconti si rifà alla cronaca nera (come per il primo racconto, incentrato sul caso Cogne e che riprende l’ultima citazione inserita in questo articolo), e alla verosimiglianza. Ma molte volte inventa. Inventa a partire da tanti luoghi comuni che abbiamo bisogno di decostruire e scardinare, facendoci entrare in una dimensione oscura da cui difficilmente usciremo illesi e con le stesse consapevolezze di prima. 

La maternità deve essere vista da un altro punto di vista e se quest’altro punto di vista coincide con una brillante scrittura, pura e cruda, e dallo stile inconfondibile, allora meglio per noi!

Arianna Vicario

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