Poetessa, romanziera, saggista e traduttrice fervida e audace, Akiko Yosano (1878-1942) è una delle figure femminili più singolari e controverse del Romanticismo giapponese.

Una voce vibrante e fuori dal coro che ha saputo fare delle sue fragilità e delle sue esperienze di vita il suo punto di forza, con uno stile originale, diretto e incisivo.

Figura 1: Akiko Yosano

Figura 2: Akiko Yosano in Western clothes

Intrappolata in un’epoca che non la rappresentava, Yosano ha riconosciuto nel suo precoce entusiasmo letterario la perfetta via di fuga dai modelli dottrinali e dalle restrizioni sociali del Periodo Meiji.

Nata e cresciuta a Sakai, uno dei più grandi e importanti porti marittimi del Giappone, Akiko ricevette un’educazione improntata ai valori morali e sociali del suo tempo – “la cerimonia del tè, l’ikebana, il canto Noh, la danza classica, il koto, lo shamisen” (Kawai Suimei, “Akiko-san no Sakai jidai”, 1942) – lei stessa prese lezioni di musica e danza e si dedicò alla lettura della collezione di libri classici giapponesi del padre, sin dalla prima infanzia. 

Figlia di proprietari di un negozio di dolciumi, quando iniziò a frequentare la Scuola Femminile di Sakai, la giovane Akiko dovette conciliare il suo percorso di studi con il lavoro nel negozio, non sentendosi mai completamente soddisfatta.

Le sue ambizioni intellettuali andavano oltre le mura di casa.

Solo l’immersione nelle tanto attese e desiderate letture notturne riusciva a nutrire la sua immaginazione, a spalancare una porta verso mondi nuovi e inesplorati, dove la sua mente poteva finalmente librarsi.

“I waited for the end of the evening meal and then under the electric light that went off at twelve midnight, hidden from my parents, I made use of the short hour or half hour of light to read stealthily the works of Murasaki Shikibu” (Y. Akiko and the Tale of Genji, G.G. Rowley, 2000)

La fantasia era il suo vascello tra i mari d’inchiostro. I libri, bussola preziosa per sfuggire a una realtà, per lei, troppo impura.

“And so, grown up as I was, from about the age of twelve I was able to imagine what it was like to be in love, thanks to those works of literature […] I always felt that all of the men and women around me were impure; and so I felt close only to men and women in books” (Y. Akiko and the Tale of Genji, G.G. Rowley, 2000)

A soli diciannove anni pubblicò il suo primo tanka[1] su un giornale locale. Nel 1900, l’incontro con il poeta Tekkan sancì l’inizio di una collaborazione artistica che contribuì alla diffusione dello spirito romantico giapponese, in una chiave più moderna. Tekkan, rapito dal talento di Akiko, decise di coinvolgerla nella redazione della sua rivista “Myojo” (La stella del mattino) e la incoraggiò a pubblicare le sue poesie capaci di celebrare la bellezza, il desiderio femminile e temi come l’amore, la natura e la libertà con una sensibilità rara e una delicatezza evocativa.

Even at nineteen,
I had come to realize
that violets fade,
spring waters soon run dry,
this life too is transient.

(Yosano Akiko, River of Stars, 1997)

Ma il sodalizio artistico di Akiko e Tekkan si tramutò ben presto in una storia d’amore intensa e complicata. Lui divorziò dalla moglie e Akiko lo raggiunse a Tokyo per sposarlo nel 1901. Nello stesso anno, fu pubblicata la raccolta Midaregami (Capelli scarmigliati) che consacrò Akiko come figura pioneristica del femminismo giapponese. La rivista Myojo accolse anche una delle poesie più celebri di Akiko, “Kimi shinitamou koto nakare” (Ti prego, fratello, non morire), un toccante inno antibellico, dedicato al fratello minore Chuzaburo arruolato nel conflitto russo-giapponese che culminò con la vittoria nipponica a Port Arthur. I versi di Akiko ispirarono la canzone omonima, composta da Shinpei Nakayama, nel 1904, e usata come propaganda pacifista durante la Seconda Guerra Mondiale.

Figura 3: Akiko Yosano and Tekkan

I versi di Akiko sono pennellate vivide che rivelano al lettore la forza delle sue emozioni e la complessità del suo animo. L’acqua, la primavera, i fiori, la pioggia sono immagini sensoriali che si imprimono nella memoria facilmente, senza ricorrere a orpelli retorici.

L’amore cantato da Akiko è autentico, eterno, viscerale, universale e in grado di toccare le corde più profonde.

Raindrops continue
to fall on white lotus leaves.
While my lover paints,
I open the umbrella
on his little boat.
(Yosano Akiko, River of Stars, 1997)

The blossoming plum
bright pink in the morning mist
above this valley –
these mountains are beautiful,
and I am beautiful too.
(Yosano Akiko, River of Stars, 1997)

Spring quickly passes.
All the things of this world are
temporal! I cried, –
And lifted his hand to touch
My trembling, waiting breast.
(Yosano Akiko, River of Stars, 1997)

Le atmosfere evocative dipinte nei tre tanka ricordano una stampa ukiyo-e in perfetto stile Hiroshige.

Figura 4: Lotuses at Shinobazu Pond in Tokyo (Utagawa Hiroshige)

Figura 5: The Plum Blossom Garden at Kameido (Utagawa Hiroshige)

Nel primo tanka, in una composizione armoniosa, appaiono in primo piano le foglie di loto bianco su cui cadono gocce di pioggia trasparenti. Una barca galleggia tranquilla sull’acqua a simboleggiare il viaggio creativo del poeta, la tensione verso l’ignoto e il desiderio di libertà.

Nel secondo, un ramo di fiori di prugno rosa brilla nella foschia mattutina, rappresentazione della sfida, dell’avversità. Nell’atto di contemplazione dei fiori di prugno, noti per la loro capacità di fiorire anche in condizioni climatiche sfavorevoli, Akiko intende celebrare la bellezza raffinata ma anche la vitalità e la perseveranza della donna.

Nel terzo, la primavera richiama la fugacità della bellezza e la transitorietà della giovinezza. Questo senso di impermanenza si traduce nel desiderio di vivere intensamente il presente e nell’urgenza di un’intimità fisica.

And now you must ask
whether I’ve written new songs.
I am the mythic
koto with twenty-five strings,
but without a bridge for sound.
(Yosano Akiko, River of Stars, 1997)

A long, restless night,
now my tangled hair
sweeps the strings of my koto.
Three months into spring
and I’ve not played one note.
(Yosano Akiko, River of Stars, 1997)

He does not return.
Spring evening slowly descends.
Only this empty heart
and, falling over my koto,
strands of my disheveled hair.
(Yosano Akiko, River of Stars, 1997)

Un’altra immagine ricorrente nei tanka di Akiko è il koto, strumento cordofono molto utilizzato nella letteratura giapponese, in particolare nel genere Uta monogatari del periodo Heian.

Travalicando ogni rappresentazione stereotipata dell’arte e dei sentimenti umani, Akiko si appropria del koto, simbolo per eccellenza del legame con la tradizione, trasformandolo in un’arma dirompente di espressione individuale. Il contrasto tra la notte lunga e inquieta e il campo semantico della primavera, come stagione della rinascita, rivela la tensione interiore della poetessa: “io sono un koto senza ponte” (a koto without a bridge for sound), incapace di attribuire alla mia anima artistica una voce che si conformi alle convenzioni. Il silenzio è il riflesso di un potenziale creativo inespresso, i capelli arruffati che sfiorano le corde simboleggiano il disordine emotivo e il desiderio innato di autodeterminarsi.

A tal proposito, una preziosa disamina del concetto di caos interiore e di ricerca del sé artistico è offerta nel film “Hana no Ran” (Chaos of Flowers, 1988) diretto da Kinji Fukasaku, celebre regista giapponese. Esso rivela la profondità della vita e mette a nudo le intricate sfumature delle opere di Akiko Yosano, esplorando temi come la complessità dell’amore, le aspettative sociali e la ricerca dell’espressione artistica.

Un fiore ribelle che sboccia dal tormento, manifesto di libertà ed emblema della resistenza, Akiko propugna una poesia essenziale, spogliata di ogni artificio superfluo (Omit, omit!).

L’atto creativo della scrittura è paragonato alla lavorazione dell’argilla (My poetry is clay-work), dove la materia prima, rappresentata in questo caso dai sentimenti grezzi e autentici, viene plasmata e scolpita senza essere contaminata.  

Nel suo potente manifesto poetico, Akiko intende restituire un valore allo spazio tra le parole e le strofe (There is a shadow). Il vuoto non è assenza ma profondità, in quanto consente alla “carne viva” (natural flesh) di risplendere e di risuonare in superficie.

Poetry is the sculpture of real feelings.
There is a shadow between line and line
and between stanza and stanza,
a shadow that envelops details
is depth;
in proportion to its depth
let bits of natural flesh
rise to float clearly
on the surface of the lines.
My poetry is clay-work.
The sculpture of real feelings
does not depend upon materials.
Omit, omit!
I would not add anything extra,
even a line.
Let bits of natural flesh
rise to float clearly
on the surface of the lines.
(A Wish about Poetry, River of Stars – 1997).

Claudia Melcarne


[1] Il tanka (o waka) è un breve componimento poetico di 31 sillabe, ripartite in 5 versi secondo lo schema 5-7-5-7-7.