I. SARÒ SOLA?
Quando avrò alzato in me l’intimo fuoco
che originava già queste bufere
e sarò salda, libera, vitale,
allora sarò sola?

E forse staccherò dalle radici
la rimossa speranza dell’amore,
ricorderò che frutto d’ogni
limite umano è assenza di memoria,
tutta mi affonderò nel divenire…

Ma fino a che io tremo del principio
cui la tua mano mi iniziò da ieri,
ogni attributo vivo che mi preme
giace incomposto nelle tue misure

VII. ADESSO SONO UNA PIOGGIA SPENTA
Adesso sono una pioggia spenta
dopo che l’orma del tuo cammino
si è fermata ai miei occhi.
Che ciglio devastante il tuo!
Come mi penetri le ossa!
Se piangessi, tu verresti a riprendermi.
Ma io ho bisogno del mio dolore
per poterti capire

A Giacinto Spagnoletti e, più tardi, a Montale e Quasimodo si deve, senza dubbio, il merito di avere promosso per primi con coraggiose iniziative editoriali e generosi atti di fiducia la poesia di una delle scrittrici più significative della letteratura contemporanea, Alda Merini (Milano, 1931-2009).
Lei che ha vissuto la follia non come limite ma come sua modalità di aderenza al reale e pratica poetica e che da sempre ha fatto una scelta di assenza contro il dilagante presenzialismo da cui sembra essere affetta buona parte dell’intellighentia nostrana, dal lontano 1953 – anno di edizione della sua prima raccolta poetica, La presenza di Orfeo – ad oggi (nel 1999, ndr), ha pubblicato numerosi volumi di prosa e, soprattutto, di poesie che, pur nella loro discontinuità, confermano la felice intuizione dei suoi scopritori.

Inutile dire che esiste una consistente letteratura critica sull’autrice milanese, ragione che mi spinge a evitare in questa sede un’esegesi puntuale del testo e a proporre invece, limitatamente ai versi, brevissime impressioni di lettura per stimolare, se possibile, la curiosità di quanti ancora non la conoscono. La prima impressione scaturita dalla lettura chiarisce, in un certo senso, la scelta di un approccio al testo esente da rigori metodologici.

A mio avviso, una poesia come quella della Merini, ricca di insondabili suggerimenti – i «gigli orrendi di fame e di fango/ che crescono nella… mente» (p. 130) – e sorretta al contempo da una personalissima codificazione/ decodificazione della realtà, nella dissezione squisitamente accademica rischierebbe di vedere sfumata quella polisemia che la contraddistingue, tanto sul piano dell’espressione quanto del contenuto.

Credo che i versi della Merini esigano, più che in altri casi, un previo atto di rinuncia da parte del lettore, o meglio, di concessione totale a condividere empaticamente un principio ispiratore che rifugge il razionale per abbracciare l’irrazionale e rappresentarlo. Ciò significa che per avvicinarsi alle dichiarate confusioni esistenziali di colei che manca d’origine perché balza «prepotente/ dalle trame del buio» (p. 24), per cogliere l’intima dolenza dei suoi amori pudicamente confessati, per scoprire quell’Io proposto non come un’unità coerente, coesa, ma come serie di molteplici altri che nella scrittura poetica trovano un’ulteriore possibilità d’esistenza, ricomposizione, visibilità, è necessario non soltanto liberarsi da ogni urgenza di significati immediatamente fruibili o riconducibili a una grammatica della normalità ma, anche e soprattutto, affidarsi a tutte le possibili immanenze dell’essere – coi suoi dubbi – che la parola racchiude.

Non bisogna poi dimenticare che nelle liriche della Merini lo stesso oggetto poetico, spesso lasciato affiorare liberamente dalle zone d’ombra della mente o riesumato dalle «piccole polveri del passato», sembra assolvere ad una particolare funzione, quella di ridefinire di volta in volta l’orizzonte d’attesa del lettore affinché egli sia sempre disponibile a seguire i guizzi di «menti aguzzate dal mistero» (p. 84). In questo margine di mistero e d’incombente segretezza, nella scelta di una parola piena degli umori di terre liminari, nell’attraversamento del dolore che non diventa mai compiacimento, nella compostezza stilistica, nel rifiuto ad assumere toni docenti che, sul piano testuale, si traduce nella ricerca di possibilità anziché di verità, credo risieda la maggiore suggestione della poesia della Merini la quale ancora oggi, nonostante i prestigiosi riconoscimenti letterari ottenuti, continua a vivere in un’ingiusta penombra.

Le due poesie precedenti e i numeri di pagina indicati nel testo si riferiscono alla raccolta Fiore di poesia (1951-1997) pubblicata da Einaudi.

Anita Fabiani

Il libro

Alda Merini
Fiore di poesia (1951-1997)

Einaudi, 2014
Collana: Einaudi tascabili. Poesia
A cura di Maria Corti
XXII-246 p., brossura
€ 12,00

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