Questa intervista nasce da un confronto con l’autrice a pochissimi giorni dalla venuta al mondo di sua figlia, Luna. Abbiamo aperto il nostro dialogo dando prima di tutto spazio ai racconti di come – con lieve anticipo – Luna abbia scelto di uscire dal grembo materno per abitare questo mondo.
Auguri di cuore da tutta la redazione di ExLibris20.

Trema la notte è un libro reale e potentemente magico: lo è nella cronaca della storia del devastante, terribile terremoto del 1908 che polverizzò Messina e Reggio Calabria e nell’intreccio con le vicende private, umane e vibranti, le storie nella Storia, come si dice. Il lettore è trascinato: prima a passo cadenzato, guardingo, ripercorrendo l’accaduto di così tanto tempo fa, poi, con un incedere sempre più veloce, come in un romanzo di azione in cui si respirano gli effluvi della paura e del “che cosa può avvenire ora?”. Il racconto inizia con una doppia visuale, ponendosi nelle due sponde dello stretto, che aprono e chiudono la narrazione.

La sua storia, la mia e quella di questo posto si sono legate sott’acqua e sottoterra, carte di quel mazzo di tarocchi che il vento ci ha disordinato nel buio. Oggi non posso che raccontarle tutte insieme” dice una delle due voci narranti, nel preludio.

Nicola Fera e Barbara Ruello vivono per poche pagine la loro vita prima del sisma. Due vite intrappolate. In due modi diversi. Subito si entra in contatto con l’angoscia di un bambino che viene soffocato da una madre iperprotettiva, logorante. Nel  libro si parla di dipendenze, di corde, le stesse con cui Nicola viene legato ogni notte e che gli feriscono i piccoli polsi.

La mia idea di corde era metafisica, per poi diventare più tattile, fisica, ma l’intero romanzo è pervaso dalla voglia di riscatto dagli schemi che ci soffocano e ci stringono. Dalla ricerca di una libertà tanto desiderata, quanto sopraggiunta a un prezzo altissimo. Tutto inizia con una devastazione, “il tempo diviene una parola mesmerica e morente”: c’è disorientamento per quelle corde che si sono recise nel giro di una notte.

Barbara e Nicola sono due personaggi molto distanti tra loro: una ventenne in età da marito che non vuole sottostare alle regole del tempo che la vedono taciturna e moglie di qualcuno e un bambino, undicenne, soffocato e manipolato da una madre che lo lega ogni notte a un catafalco e gli instilla paure nerissime. Il Terremoto mischia le carte, oltrepassa i loro destini: resetta il loro passato, rosicchia le corde con cui erano legati, trattenuti, e li consegna a un mondo che in quel momento però non è fisso, non è sicuro, trema. Ed è pericoloso. Potevano essere due voci narranti distinte e separate, ma, decidi di farli incontrare.

Ho deciso di far incontrare loro due per un attimo e non di sovrapporre le loro esistenze, perché mi interessava raccontare come dentro una tragedia, in questo caso dentro, un ulteriore evento brutale, in cui quasi ti chiedi cosa è più grave e doloroso tra l’aver perso tutto e il venire violati, umiliati, come avviene sia a Barbara che a Nicola, nella loro intersezione sulla nave Morgana, ci si possa affiancare. Si tratta di due violazioni profonde che si uniscono in una maniera che è fuori dalla ragione, fuori dalla coscienza, come due persone che sono legate da un attimo di  cui nessuno dei due è responsabile, che nessuno dei due ha provocato ed entrambi sono dalla parte dei dominati. Però quell’attimo mi è servito a livello narrativo per tessere il concetto della vicinanza, che non è nemmeno solidarietà che è un termine troppo piccolo per una convergenza di quel tipo.

La terra trema sotto i piedi, il crollo delle case e dei palazzi si specchia anche in quello interno, dell’animo. Un’apocalisse polverosa in cui sulle disgrazie sismiche si attaccano le miserie umane, fatte di saccheggi, violenze indicibili. In cui gran parte dei protagonisti sono vinti, abbattuti. E riportano alla memoria il verismo di Verga…

Decisamente. I vinti sono il mio riferimento: in tutti e tre i miei romanzi, ma in questo soprattutto, i protagonisti sono in lotta col destino. Ma nella mia parabola narrativa sul destino mi discosto dalle dinamiche verghiane: ho voluto creare una parola che in Verga non compare mai: Salvezza. Per me è stata la parola guida di questo libro: è una parola difficile, di solito spaventa i romanzieri, perché tutto va verso il precipitare eppure io l’ho cercata, senza voler dire che non era successo niente, senza minimizzare traumi ed eventi, però è stato quello che volevo. Ed è il punto di disconnessione con Verga. La salvezza. Più di una luce che si intravede, piuttosto una dinamica escatologica.

La stesa dei tarocchi è di fatto una mappa che accompagna l’intera ricostruzione storica del terremoto, ventidue capitoli che prendono il nome dai ventidue arcani maggiori. Con un rimando evocativo a Calvino. Le carte accompagnano quella che è una tragedia che ha fatto crollare tutto. Mia nonna diceva relativamente ai cataclismi (non solo fisici): “è venuto qualcuno/qualcosa che doveva distruggerti”…

Partirei dalla frase che mi hai recitato nel tuo dialetto: “è venuto”. I tarocchi ti aiutano a decodificare quel che “è venuto”, non quello che tu hai provocato, ma è ciò che arriva e tu non puoi vedere. Il terremoto arriva da Dio, forse dalla terra, forse dal mare…arriva. E i tarocchi, per la loro forza simbolica, per chi li conosce, li studia, sono un gioco sacro che ti aiuta a fare narrazioni di ciò che è avvenuto. Non servono a predire. Le carte ti dicono “questa è la storia presente che ti stiamo raccontando, se tu la riguardi pensando anche alle possibilità di futuro, forse riesci a comprenderla”. Un terremoto di quella portata, che fa centomila vittime, non è comprensibile con la razionalità. Da qui la scelta di legare elementi sotterranei di questo romanzo con la potenza dei tarocchi.

Nel romanzo ci sono molti riferimenti storici per cui ti sei documentata accuratamente, ma i personaggi si muovono in avanti, sono prospettici, guardano a un futuro che è nebuloso ma esiste…

Confermo di essermi documentata a lungo e attentamente. Volevo riportare il più fedelmente possibile quanto è avvenuto, ma  nella mia idea non c’è mai stato un libro del passato, mentre Addio Fantasmi, ambientato nell’oggi aveva lo sguardo rivolto a ieri. Questo invece è ambientato l’altro ieri, ma lo sguardo è rivolto al futuro.

Trema la notte è un romanzo di un presente storicizzato, piuttosto che un libro storico. E  questi personaggi sono stati con me non come fantasmi di un’altra epoca, ma come persone che camminavano con me. Ho dato loro a partire dalla ricerca di libertà di Barbara o dal sentirsi succube di Nicola, il mio presente. 

Madame è un personaggio che scova il futuro, sente dove sono ancora vivi i bambini sotto le macerie.

Jutta è una figura femminile affascinante, resistente. Aperta alla sorellanza come suor Rosalba, ma anche Elvira…

Jutta è un personaggio che adoro: un piccolo omaggio a una biologa marina, realmente esistita, Jeanne Villepreux, che ha vissuto per molti anni a Messina.

Ho creato un personaggio che è in controtendenza con la fuga che ha caratterizzato quel periodo duro, decide di restare, perché lì, trova la possibilità di rinascere, ripartire.

Come suor Rosalba ed Elvira.

Volevo proprio raccontare di donne che pur non essendo eroine, suffragette, hanno saputo proteggere l’istinto della ripartenza partendo dalla quotidianità, esattamente come tutte le nostre nonne.

Quanto volevi dare l’idea dei terremoti della vita che radono tutto al suolo e per poi reagire e  ricominciare?

Questa volta ho fatto un percorso inverso: non sono partita da una visione metaforica della devastazione, del tremore della terra sotto i piedi. Sono partita dalla vicenda vera, reale che annientò lo stretto. Scrivendo mi si è rivelata la condizione che quello che raccontavo poteva valere per il terremoto, ma anche per tutte le volte che la vita ti mette con le spalle al muro. Penso sempre che scrivere alla fine sia sempre dare alla luce qualcosa di concreto. Scrivere è azione.

Intervista a cura di Antonella De Biasi