La protagonista di Carne viva, romanzo d’esordio di Merritt Tierce, (Sur, 2015) si chiama Marie, ha poco più di vent’anni e lavora come cameriera in Texas. È un’ex studentessa modello la cui vita cambia completamente quando, tre anni prima, durante un campeggio in Messico organizzato dal gruppo di volontariato di cui fa parte, rimane incinta di Ana; in quel momento un macigno molto grosso cade sulla strada che l’avrebbe portata dritta a frequentare Yale, e la costringe a percorrerne un’altra che la porta invece a un matrimonio brevissimo con il padre di Ana (che la lascerà dopo l’ennesimo tradimento), e a lavorare presso una lunga serie di ristoranti.
Come cameriera sarà metodica, professionale e instancabile, come persona e come mamma si sentirà sempre inadeguata. Marie darà inizio a un percorso di stordimento, autodistruzione e solitudine, raccontato con un linguaggio crudo, diretto e potente (tradotto da Martina Testa). Al lavoro si muove a ritmi sfrenati tra i tavoli di lussuosi ristoranti, tra clienti e piatti di ogni tipo, grosse mance. Nella vita privata sniffa coca e fuma erba, beve, fa sesso con tutti gli uomini che incontra, si taglia la pelle.
Il titolo italiano del libro (quello originale è Love Me Back) mette molto bene in evidenza il tema della fisicità, il modo viscerale e doloroso con il quale Marie si offre al mondo. Il personaggio non subisce un’evoluzione e resta sospeso tra queste due vite. Non raggiunge nessuna salvezza, non impara; anzi, ripete in maniera ciclica gli stessi errori.
Nonostante questo lungo precipitare dentro un vortice autolesionistico palpita però in continuazione la voglia di esistere: la sua carne fa male proprio perché viva. Ed è questo il motore che pagina dopo pagina alimenta la lettura. In maniera lucida, senza nessun vittimismo, Marie cerca in continuazione di perdonarsi, di riuscire ad amarsi ancora, e farsi amare da sua figlia.
Carmelo Vetrano
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