Il romanzo d’esordio di Raven Leilani è un testo forte, senza esitazioni, quasi sfacciato. Difficile rendersi conto che è un’opera prima. La voce narrante di Edith, giovane afroamericana di 23 anni, racconta in prima persona la relazione con Eric, uomo borghese bianco di mezza età, l’ingresso di lei nella famiglia di lui e una serie di vicende che ne scaturiscono. Lo fa in un modo che colpisce per la sua immediatezza, per il ritmo che non perde un colpo, si percepisce che è una scrittura che non (si) fa sconti; ne esce una lingua ruvida in ciò che racconta e affilata nel modo in cui lo fa.

La relazione erotica tra Edith ed Eric prende ben presto una direzione particolare. Innanzitutto attraverso i racconti dei primi appuntamenti si delinea che tipo di persona sia la protagonista.

“Tutto quello che voglio è che lui possa avere ciò che vuole. Voglio essere una donna senza complicazioni e senza esigenze. Voglio che non ci siano attriti tra l’idea che si è fatto di me e la persona che sono davvero. Voglio tutte queste cose e non ne voglio nessuna. Voglio che il sesso sia intimo e tiepido, che lui abbia problemi di erezione e io sia un po’ troppo esplicita sulla mia sindrome dell’intestino irritabile, così che il nostro legame si basi sulla reciproca consolazione. Voglio litigare con lui davanti a tutti. E quando litighiamo tra le mura di casa, voglio che a un certo punto mi colpisca per sbaglio con un pugno. Voglio condividere con lui una lunga e soddisfacente carriera di birdwatcher, e poi voglio che scopriamo di avere il cancro nello stesso identico momento. Poi mi torna in mente sua moglie, l’ottovolante rallenta e cominciamo a scendere.”

Contemporaneamente si aprono altri scorci della vita di Edith, il lavoro presso una piccola casa editrice, la passione per la pittura, i problemi connessi alle condizioni di vita economicamente precarie. La situazione svolta tutto d’un tratto quando Edith perde il lavoro, viene sfrattata e, sorprendentemente, viene invitata dalla moglie di Eric, Rebecca, a stare in casa loro- inizialmente approfittando di un periodo di assenza del marito. La richiesta si rivela interessata in quanto Rebecca vuole l’aiuto di Edith con la figlia adottiva, Akila, una ragazzina nera, e per ottenerlo è disposta a modalità anche poco ortodosse. Si apre così un periodo di convivenza ambigua che vede Edith, Rebecca, Akila e Eric affrontare alleanze e conflitti mutevoli sotto lo stesso tetto. L’avvicinarsi di questa convivenza ai suoi naturali limiti porta Edith ad esplorare nuove parti di sé, compresa la sua vocazione artistica, fino al conseguimento di un nuovo punto di equilibrio e di una nuova situazione di vita.

Partendo da una trama già di per sé non banale, Leilani è in grado di mettere in questo testo la soggettività pensante e riflessiva di una giovane donna nera che ha una grande capacità di osservare fenomeni sociali e relazionali intorno a lei, con uno sguardo disincantato, politico ma anche ironico.

“Uccido uno scarafaggio in cucina, prendo una tazza di caffè tiepido e mi siedo alla scrivania dove, prima di iniziare a lavorare, mi faccio un giro tra certe foto stupide di miei amici che vivono una vita migliore della mia, poi leggo un articolo su un adolescente nero ucciso sulla Centoquindicesima Strada perché aveva in mano un’arma che in seguito si è scoperto essere un doccino, poi un articolo su una nera uccisa in Gran Concourse perché aveva in mano un’arma che in seguito si è capito essere un cellulare, poi sprofondo nella sezione commenti e faccio un po’ di shopping online, cioè metto quattro vestiti nel carrello a mo’ di esercizio strettamente teoretico e poi faccio scadere la sessione della pagina.”

Di fatto il testo di Leilani è un testo sull’essere femmine nere povere in una grande città americana, ma anche un testo sulle imprevedibili (e a volte impossibili) forme dell’alleanza femminile, è un testo sugli equilibrismi che servono per coltivare relazioni asimmetriche. È un libro potente che racconta un desiderio sessuale rabbioso, onesto, divorante e senza morali. È un libro, infine, sull’imparare a fidarsi della propria parte artistica, sulla crescita dell’Edith-pittrice e sul suo assumere via via maggior peso nello sviluppo della vicenda.

“È la prima volta che mi sembra di capire cosa pensa. Lui è convinto che siamo uguali. Non si rende conto dello sforzo che faccio, invece.
“Puoi essere te stessa con me, lo sai” dice, e faccio una gran fatica a non scoppiargli a ridere in faccia.
“Grazie,” dico, anche se so che non è vero. Vuole che io sia me stessa come potrebbe essere sé stesso un leopardo in uno zoo di città. Inerte, in attesa di cibo. Non libera e allo stato brado, con i legamenti paradontali ben allineati.”

Di Edith colpisce la vulnerabilità, il modo in cui la si percepisce esposta apparentemente senza difese di fronte alla drammaticità degli accadimenti. Contemporaneamente però è presente una forza nel personaggio che è data proprio dalla maniera disincantata e onesta di raccontare sé e ciò che ha intorno.

La scrittura di Leilani è una scrittura ricca di immagini, dettagli, spesso dettagli minuscoli, apparentemente inutili o che non sembrano pertinenti e proprio per questo sorprendono. Leilani espone fatti e parte quasi sempre dal centro della vicenda, dal nocciolo dell’azione. Descrive, esplicita, si astiene quasi completamente dal formulare giudizi o opinioni su quello che accade. La narrazione si dipana rapidamente, è scattante nonostante il periodare tendenzialmente lungo e il ricorso all’elencazione come modalità descrittiva. I suoi elenchi sono peraltro sempre sopra le righe e sempre godibilissimi. La lingua è colloquiale, immediata come quella di una lunga conversazione in cui spesso salta da un ambito all’altro, non risparmia niente né a sé, né al lettore e in generale è impertinente in quel che racconta così come nel modo in cui lo fa. La posizione di Edith in fondo alla scala sociale sembra permettere a Edith/Leilani di non aver niente da dover difendere, non una certa immagine di sé, non l’aderenza a uno stile o a una maniera di “fare scrittura” e quindi contemporaneamente produce libertà. La sensazione è che la protagonista racconti tutto quello che le viene in mente, manifestando contemporaneamente un’ ironia, un’attitudine pop e uno sguardo di un acume e sensibilità rari.

“A Rebecca del suo lavoro piace proprio questo: le storie che i corpi raccontano. Lei crede che il modo migliore per capire come è fatta una cosa è farla a pezzi. Dice che da bambina smontava tutti i giocattoli, sua madre si arrabbiava, suo padre invece capiva e iniziò a comprarle oggetti che poteva assemblare da zero- orologi, macchinine e modellini di aeroplani.”

Questa attitudine a fare a pezzi le cose in una certa misura permea la scrittura di Leilani, sembra che i fenomeni e le storie che racconta prima siano stati sezionati, scomposti e poi rimontati in maniera impeccabile, solo così ci si può spiegare come l’autrice riesca talvolta a centrare l’essenza di alcuni momenti, di alcuni personaggi, di quello che aleggia nelle scene che racconta.

Lisa Burger