«Non le è mai capitato – continuò Léon – di ritrovare in un libro un pensiero già formulato vagamente in noi stessi, un’immagine offuscata, quasi ci tornasse da lontano, e l’intera descrizione dei nostri sentimenti più profondi?».

Ognuno di noi, difronte a questa domanda, avrebbe risposto come Emma Bovary: «Ho provato tutto questo!».

Quanto spesso è accaduto, soprattutto nei periodi di maggior sconforto, che ci buttassimo a capofitto in una lettura, con il semplice fine di estraniarci dalla realtà circostante o con la speranza che proprio il libro, con i suoi personaggi e i rispettivi monologhi interiori, potesse fornirci una risoluzione concreta ai nostri drammi?

Il valore simbolico che ciascuno di noi conferisce al libro e, di conseguenza, alla lettura costituisce il leitmotiv di molta letteratura sul crinale tra Ottocento e Novecento, fino a costituire un vero e proprio topos letterario: il «bovarismo».

È chiaro come questo termine tragga origine dal capolavoro in prosa di Gustave FlaubertMadame Bovary – pubblicato per la prima volta nel 1856. Emma Bovary è una ragazza che risulta essere completamente imbevuta di letteratura, tanto da perdere totalmente il contatto con la realtà circostante. Insoddisfatta del reiterarsi di vecchie abitudini e vecchi languori, Emma cerca nel libro uno spazio ideale in cui perdersi e, magari, ritrovarsi inquadrata in una vita migliore.

«Abituata alla tranquillità, desiderava per contrasto tutto ciò che era movimentato. Era necessario per lei trarre dalle cose una specie di utile personale e respingeva come superfluo tutto ciò che non appagasse la brama immediata del cuore».

Tuttavia, questo anelare a una condizione ideale, riscontrabile soltanto nelle vicende romanzate di personaggi inventati, fa sì che la fanciulla si proietti totalmente in una realtà altra, in cui anche le parole e le emozioni si originano da altri modelli. Emma comincia ad abitare un mondo fittizio che, in un primo momento, la fa sentire appagata ma che, alla fine, si infrange, rigettandola violentemente in quello stesso mondo da cui aveva provato a fuggire. Così, crollati tutti i modelli, tutte le reminiscenze, tutte le auto-falsificazioni prodotte, Emma, con la stessa incoscienza che l’aveva accompagnata per tutta la vita, si abbandona al gesto estremo.

Di questa dolce e altrettanto amara illusione letteraria si servirono molti autori e, probabilmente, in essa hanno rappresentato perfettamente quel desiderio di evasione che ha caratterizzato gli uomini del XIX e XX secolo. Gli autori che hanno ripreso e declinato a loro modo questo topos letterario sono molti; tuttavia, vorrei addurre solo due esempi a cui le mie letture, ancora abbastanza scarne, mi hanno condotto: da una parte, Thomas Mann con I Buddenbrook e, dall’altra, Alberto Moravia con La Provinciale.

Thomas Mann ha voluto rappresentare nel suo romanzo – pubblicato nel 1901 – la decadenza della vecchia borghesia e l’avvento di una nuova classe borghese, più dinamica e meno radicata a questioni generazionali e religiose. La famiglia protagonista, residente a Lubecca da generazioni, svolge un ruolo centrale all’interno della cittadina, sia da un punto di vista economico che da un punto di vista politico e tutti i suoi membri spendono ogni attimo della propria vita a prodigarsi affinché questo stato di cose non cambi. Tutte le vite sembrano intrecciarsi e procedere verso un unico fine: il mantenimento dello status attuale. Quel filo che, sin dall’inizio della narrazione, sembra essere sospeso è quello di Tony, la quale sembra essere distratta e dimentica di quei doveri e onori che dovrebbe rendere alla sua famiglia. 

Ella è pervasa dai piaceri che solo la letteratura è in grado di offrire a tal punto da estraniarsi completamente da quella realtà che sembra essere troppo rigorosa e asfissiante per un’anima così fragile e scoperta.

Nuovamente, dal senso di insoddisfazione nasce la volontà di crearsi uno spazio ideale in cui ritrovarsi e riscoprirsi: anche Tony procede per auto-falsificazioni, sceglie i modelli da cui trarre non soltanto le emozioni da provare, ma anche le parole da pronunciare, soprattutto in quelle circostanze in cui la sua anima irruente ma, allo stesso tempo, fragile, non riuscirebbe a non corrompersi.

La sua immedesimazione nelle vicende delle eroine letterarie da lei elette è così travolgente e alienante che, quando è lei stessa a ritrovarsi in una delle situazioni tante volte lette nei romanzi, l’incredulità è assordante e paralizzante.

«A poco a poco le lacrime di Tony si asciugarono. Aveva la testa in fiamme e piena di pensieri… Dio! Che storia! Aveva sempre saputo che un giorno sarebbe diventata la moglie di un commerciante, che avrebbe fatto un buon matrimonio, vantaggioso, adeguato alla dignità della famiglia e dell’azienda… Ma adesso, all’improvviso, era arrivato per la prima volta qualcuno che voleva sposarla davvero e faceva sul serio! Come doveva comportarsi? Lei, Tony Buddenbrook, doveva confrontarsi all’improvviso con tutte quelle espressioni terribilmente gravi che fino ad allora si era limitata a leggere nei libri: il suo “consenso”, la sua “mano”… “per tutta la vita”… mio Dio!».

Questo rigetto nella realtà non conduce Tony al gesto estremo, come accadde per Emma, ma alla presa di coscienza dell’alienazione che lei stessa ha voluto e da cui lei stessa non riesce e non vuole affrancarsi. Tony prova ad obbedire ai suoi doveri di membro di una famiglia autorevole, ma molto spesso inciampa e ritorna, come un boomerang, in uno stato di gelida apatia e alienazione rispetto alla realtà. Credo che né Tony né Emma avessero ben chiaro il tipo di vita in cui inquadrarsi, entrambe sembrano essere avviluppate dal sogno dell’impossibile e dell’irrealizzabile; forse credevano che tra le pagine di un buon libro avrebbero trovato una soluzione alla loro quotidianità languente ma, come sempre accade, volgere gli occhi altrove non fa altro che corrompere e rendere più rovinosa la strada per la salvezza interiore.

Neanche in una città dell’Italia di mezzo, come scrive Moravia, Gemma – protagonista del racconto La Provinciale (1937) – riuscirà ad affrancarsi da quella quotidiana frustrazione che impoverisce il suo animo.

«Ma nelle sue [lettere] Gemma non parlava che di sé e della propria vita. Descriveva l’angustia, la tristezza, il tedio della città di provincia; esprimeva il suo desiderio di cambiar vita e paese; si apriva e si confidava con un abbandono torbido e passionale, pieno di candore artificioso e di involontaria astuzia. Ci metteva in quelle lettere un po’ di tutto, frasi udite al cinema o lette nei romanzi, brani di conversazioni mondane, riflessioni persino carpite nei libri di scuola, i soli che avesse letto sul serio, e cento altre cose di accatto, non sue, né pensate né sentite ma che la inebriavano fino alle lagrime».

Gemma è una ragazza di provincia, di umili origini che, sopraffatta dalla ridondanza di certe abitudini e dalla povertà della sua condizione, cerca di emanciparsi e fuoriuscire dal clima opprimente della sua casa. Tuttavia, anche per Gemma il progetto di vita ideale a cui sembra ambire non è ben chiaro, tanto che, pur proiettata, dopo aver contratto un matrimonio vantaggioso, in quella realtà che tanto agognava, non riesce a raggiungere una serenità interiore.

L’interiorità di queste tre donne, tanto lontane ma altrettanto vicine, appare frammentata e, talvolta, quasi inesistente. Sembra che non si ribellino soltanto alla realtà circostante, ma anche e soprattutto a loro stesse. E se Tony e Gemma non si sono abbandonate allo stesso destino di Emma non è per forza interiore, ma per mancanza di coraggio e spirito decisionale.

Le tre donne condividono l’appartenenza ad una realtà di provincia – decentrata rispetto ad un centro più vitale – l’insoddisfazione legata non soltanto allo spazio geografico ma anche al matrimonio infelice e, infine, la tendenza a voler evadere dalla prigione grigia della loro esistenza.

Tuttavia, questo straniamento non fa che tradursi in un’ulteriore gabbia in cui rimangono avviluppate per sempre.

Questa illusione che accomuna Emma, Gemma e Tony è, oggi, inquadrata come una vera e propria psicosi, tale da provocare un decentramento completo della persona rispetto alla realtà.

Ecco, dunque, che un topos letterario diventa più attuale che mai e sembra addirittura risuonare come un monito alle nostre orecchie, affinché ogni desiderio di evasione e fuga rispetto ad una situazione scomoda sia meno forte del nostro coraggio di affrontarla e, perché no, migliorarla.

Anna Rita Ambrosone

Consigli di lettura:
Thomas Mann, I Buddenbrook, Oscar Mondadori, Milano, 2016 € 16,00
Gustave Flaubert, Madame Bovary, Oscar Mondadori, Milano, 2016 €10,50
Alberto Moravia, Racconti, Bompiani, Milano, 2020 €18,00