Gli zoccoli delle castagne è un libro che sa di fumo e di neve, di sole e di olive, di castagne e di fuoco.

Nasconde dentro di sé un sapore antico che forse molti non hanno mai assaporato per cui viene da pensare con rammarico: i ragazzi di oggi possono ricostruire l’odore di fumo del camino? Il rumore del cucchiaio contro il paiolo di rame o contro la padella nera di fuliggine? Oppure… Possono godere di giochi semplici fatti con foglie, fiori e legni? Possono deliziarsi della pioggia che cade discreta e silenziosa nel bosco e respirare l’odore della terra bagnata?

La civiltà che ci racconta Barbara Ferraro è quella delle montagne della Sila, e la voce narrante è quella di Lina una ragazzina intenta ad osservare il proprio mondo cristallizzato nella sua ripetitività stagionale ma anche ricco di  nuove esperienze, perché lei sta crescendo e deve andare con la famiglia  a raccogliere le castagne in un paese vicino. Racconto dettagliato e curato e gli zoccoli batteranno le castagne che verranno fatte essiccare secondo una tecnica antica, da cui il titolo molto evocativo del libro.

Chi ha a lungo vissuto può riconoscere in quel racconto un mondo uguale a se stesso da Nord a Sud, un mondo semplice fatto di lavoro e onestà, sacrificio e fatica, un luogo lontano dalla frenesia della città e dal mondo odierno. Noi ultracinquantenni abbiamo avuto il privilegio di vederlo e di viverlo, in qualche modo, chi più, chi meno, ma era presente nelle nostre vite. Lo abbiamo forse solo lambito e ora, a distanza di anni, possiamo dire che non esiste quasi più, è sparito, assorbito dalla modernità, dai macchinari e dai ritmi frenetici dei nostri tempi ma ne ricordiamo con piacere i rituali e le tradizioni.

Si era poveri ma uniti, si lavorava insieme, si  mangiava insieme, condividendo con gli altri tutto: azioni, tempo, lavoro, profumi, sapori, sonni, sogni, pasti e divertimento.

Quanti  bambini oggi avranno la possibilità di intersecare la loro esistenza con la natura o con coloro che hanno vissuto o che ancora vivono questa realtà contadina? Forse non molti ma questo libro offre la possibilità di sentire una voce antica che sa di casa e di radici e che ci premettere di immergerci nella lentezza delle stagioni, trasportandoci dentro al racconto grazie anche alle immagini di Sonia Maria Luce Possentini, che sostiene il percorso della giovane protagonista illustrando i passaggi dell’esistenza con tratti realistici e i colori caldi della terra.

La lingua che si parla è semplice e ci immerge nella natura, ai suoi cicli stagionali, alla vita contadina che scorre inesorabilmente collegata al raccolto: il grano, le patate, le castagne, l’uva…  I prodotti della terra, indispensabili e mai superflui ci riportano alla ciclicità della vita e ci fanno sentire lo scorrere del tempo,  il ritmo del tempo.

Il tempo e il ritmo sono contenuti in tutto il libro. È un libro che raccoglie molti suoni che erompono alle volte, in vere e proprie espressioni musicali, danze sfrenate fatte con gonne alzate per lasciare scoperte le caviglie, tamburelli battuti freneticamente, dita schioccate sotto la gamba e battiti di mani. Finito il tempo del lavoro, la danza e la musica esplodevano felicemente e alleggerivano dalla fatica del lavoro. La ciclicità della vita contemplava ritmi precisi, lavoro ma anche riposo e quella magnifica espressione che era pura evasione attraverso l’arte liberatoria della danza, della musica, dei canti.

La danza scorrendo le righe descrittive, sembra di vederla e anche quell’espressione di gioia trepidante, così genuina, viene voglia di cercarla e se non si riesce dentro di noi, almeno su Internet, per capire come fosse e cosa promettesse.

Manuela Tamietti