Nonostante la modernità sia il luogo della teoria del brutto, questa sembra ancora essere in antitesi con il senso comune e più diffuso che vuole l’estetica riferita essenzialmente al ‘bello’. L’aggettivo ‘brutto’ implica che altrove esista un ‘bello’, ma entrambi gli attributi, si spiegano in riferimento ad un significato che va oltre l’apparenza esteriore alla quale essi si applicano. Per gran parte della storia dell’estetica, infatti, essi hanno rimandato a un significato morale, secondo il quale il bello coincide con il ‘buono’ e il ‘brutto’ con il cattivo. Soltanto in tempi recenti il legame tra apparenza e significato morale si è sciolto, consentendo così al brutto di essere teorizzato in modo del tutto autonomo, anche rispetto al bello.

Il saggio in forma di avvincente dialogo Il bello, la musica e il potere, di Antonello Cresti e Roberto Michelangelo Giordi, pubblicato da Mariù edizioni lo scorso luglio 2023, elogia e propone la bellezza intesa come “ordine delle cose” rifacendosi a Roger Scruton per il quale la società contemporanea, abbandonando il parallelismo tra ordine e bellezza, ha perduto il desiderio di realtà.
Da un certo punto in poi della storia occidentale, infatti, ordine e bellezza si sono completamente separati: nell’arte, nella musica, nella letteratura. Questo dualism artificiale, ha aperto la strada al post-modernismo e alle sue declinazioni: l’arte concettuale, il post-strutturalismo, il decostruzionismo, l’intersezionalità, la teoria queer, ecc..

Oggi, per essere artisticamente rilevante, un’opera non deve più rispettare un ordine, un canone, come Platone aveva affermato evocando una realtà trascendente della bellezza. Tale dualismo ha finito per colpire anche il concetto di ordine civico, indebolendo uno deli pilastri della civiltà. Tutte le civiltà, dal Cristianesimo all’Islam fino alle antiche civiltà cinesi e indiane, si basano su un concetto di ordine
prestabilito. La guerra ha trasformato violentemente l’Occidente, scatenando una frattura tra l’essere della realtà e la realtà dell’essere.
Le conseguenze di questi cambiamenti sono denunciate da Cresti e Giordi per i quali la bellezza coincide con ordine, armonia, utilità, valore. Tuttavia è bene sottolineare un aspetto: tutta la storia dell’estetica o, per meglio dire, della ‘metafisica del bello’, si può leggere anche come un variare dei rapporti e delle distanze reciproche tra bello e brutto, come sosteneva Remo Bodei. Non a caso, riferendosi al bello, Bodei parla di ‘metafisica’: sottolineando il ruolo del bello rivolto all’idealità e che tale rimane nell’estetica teologica. Nella storia dell’estetica il ‘bello’ costituisce il termine di paragone di ogni altra categoria estetica, come il sublime e il brutto.

Il saggio difende la logica binaria che aveva caratterizzato il Medio Evo e che è stata gradualmente superata, fino ad attribuire al brutto, in tempi recenti, un significato sociale.
La società moderna infatti ha perso il legame con gli antenati e dimenticato lo spirito rivoluzionario, relegandosi in una sorta di stato di eterno presente, angosciato e angosciante, dove a rivoluzionarsi è la tecnologia.
La bellezza però può ancora stupire e produrre anch’essa smarrimento, straniamento, ed essere parte integrante, del brutto che non vorremmo: l’esperienza di Dio quindi non può quindi ridursi a calma contemplazione estetica, ma deve aprirsi all’inatteso, al sorprendente. Si dovrebbe lottare per riconquistare tale esperienza.

Antonello Cresti è saggista, conferenziere ed agitatore culturale. Si è laureato con lode in “Scienze dello Spettacolo” presso l’Università di Firenze. Ha iniziato la sua attività artistica come musicista, animando vari progetti e producendo numerosi album. Ha già pubblicato tredici libri, usciti con varie case editrici, dedicati a musica underground, cultura britannica, esoterismo, controcultura. È ideatore di un film e di
un documentario, entrambi a tematica musicale. È attivo nella creazione di una rete trasversale di intellettuali e creativi in opposizione al Pensiero Unico.

Roberto Michelangelo Giordi è un cantautore e scrittore partenopeo. Vive attualmente tra Parigi e Roma. Ha pubblicato quattro album: Con il mio nome (2011), Il soffio (2015), Les amants de Magritte (2017), Il sogno di Partenope (2019), gli ultimi due usciti anche in Francia. Nel 2019 è stato finalista alle Targhe Tenco. Nel 2022 pubblica per Mariù Aliene sembianze, il suo quinto lavoro discografico e la sua
prima opera narrativa. È diplomato al CET di Mogol e laureato in “Scienze politiche” e “Lingue e letterature straniere”. Si è occupato della tradizione letteraria napoletana e del rapporto tra musica e testo nella canzone antica e in quella d’autore.

Anna Lina Grasso