Essere matita è segreta ambizione.
Bruciare sulla carta lentamente
e nella carta restare
in altra nuova forma suscitato.
Diventare così da carne segno,
da strumento ossatura
esile del pensiero.
Ma questa dolce
eclissi della materia
non sempre è concessa.
c’è chi tramonta solo col tuo corpo:
allora più doloroso ne è il distacco.
da Ora serrata retinae
Ho spesso immaginato che gli sguardi
sopravvivano all’atto del vedere
come fossero aste,
tragitti misurati, lance
in una battaglia.
Allora penso che dentro una stanza
appena abbandonata
simili tratti debbano restare
qualche tempo sospesi ed incrociati
nell’equilibrio del loro disegno
intatti e sovrapposti come i legni
dello shangai.
da Nature e venature
Tu dormi accanto a me così io mi inchino
e accostato al tuo viso prendo sonno
come fa lo stoppino
da uno stoppino che gli passa il fuoco.
E i due lumini stanno
mentre la fiamma passa e il sonno fila.
Ma mentre fila vibra
la caldaia nelle cantine.
Laggiù si brucia una natura fossile,
là in fondo arde la Preistoria, morte
torbe sommerse, fermentate,
avvampano nel mio termosifone.
In una buia aureola di petrolio
la cameretta è un nido riscaldato
da depositi organici, da roghi, da liquami.
E noi, stoppini, siamo le due lingue
di quell’unica torcia paleozoica.
da Esercizi di tiptologia
DIFFAMAZIONI
A Pierpaolo Pasolini
Avrebbe minacciato un benzinaio
con la pistola carica
di un proiettile d’oro.
Cineasta e poeta, orafo e orco!
Ma cosa contestare a quest’accusa,
l’arma o la sua pallottola?
Santa Romana Chiesa o l’usignolo?
Quel colpo mai sparato traversa
la sua opera
piegandola ad un duplice ossimoro,
fantastico fantasma di violenza
e pietà, di sangue e alloro.
da Altre poesie
In circa sedici anni ho pubblicato tre raccolte di poesie, che adesso, con qualche inedito, ho riunito in un unico volume per Einaudi. Vederle tutte insieme, mi invita a dare un senso e un’intenzione che forse non hanno mai avuto. In ogni caso, è un gioco che mi attira: provare a riconoscere qualcuno da un identikit.
Il primo libro (Ora serrata retinae, Feltrinelli, 1980) avrebbe dovuto rappresentare un blocco unico, calcificato, senza vuoti. Il secondo (Nature e venature, Mondadori, 1987) è invece ripartito in dieci capitoli che offrono una sorta d’inventario, esprimendo un accentuato senso di movimento, spaesamento, confusione. Nel primo titolo i temi dominanti erano quelli della scrittura, del sonno, dello sguardo; nell’altro emerge piuttosto la presenza di oggetti tipici del nostro orizzonte quotidiano, tecnologico e degradato (monete e fotografie, telefoni e autobus). Insieme a tutto ciò, in entrambi i testi, si fa ricorso a pratiche come l’anagramma, il collage o il calligramma, testimonianza di una particolare attenzione al valore iconico della scrittura.
Ancora. Mentre Ora serrata retinae rappresenta la stasi e la concentrazione, Nature e venature intende collocarsi in un paesaggio che, al di là di un’apparenza luminosa e pacata (la linea, la venatura della pietra o dell’organismo), si rivela percorso dalla -continua minaccia di crolli, smottamenti, fratture (la natura notturna, celata nelle profondità geologiche): “Come se il fregio sempre / nascondesse lo sfregio”. Secondo un’ipotetica etimologia, ho cioè immaginato che dentro la dolce e rassicurante venatura incombesse la presenza muta e abissale della natura, e dietro azioni familiari o innocue si intravedesse in agguato il senso verticale e potenziale, tragico e contumace, del pericolo. Ma in questo gioco di parole ho anche cercato di proporre una possibile definizione della poesia stessa: la natura (cioè l’esperienza, il pensiero, l’emozione di chi scrive) letta attraverso le venature della pagina, vale a dire i suoi versi. Quanto al terzo volume (Esercizi di tiptologia, Mondadori, 1992), si tratta di poesie, traduzioni e prose. L’idea di riunirle nasce dall’interesse per un tipo di scrittura ibrido, contagiato, sporco, spurio. Non un modello di prosa poetica, dunque, bensì l’idea di un libro ornitorinco. Esercizi di tiptologia vive infatti della spiccata attrazione sia verso materiali non strettamente poetici (reportages e resoconti), sia verso tecniche e forme compositive tradizionalmente associate a un genere basso (poesia d’occasione e testi su committenza). È la spola dei versi scardinata, la molla rotta, la macchina inceppata, il vecchio giradischi che si incanta e seguita a girare rimando con se stesso. Dietro a tutto, sta un comune sentimento dell’infanzia, anzi, per meglio dire presentimento, al modo in cui si parla di un pericolo. C’è una frase che mi ossessiona da tempo come una specie di algoritmo psichico. Difficile da tradurre, io la intendo così: “Più noi proviamo a guardarla da vicino, più lei ci osserva da lontano. “Il suo autore, Karl Kraus, si riferiva alla parola e alla sua potenza estraniante. A me invece, in un primo momento, è venuto spontaneo applicarla all’espressione che provoca in noi lo sguardo di una bestia. Mi sbagliavo. In verità si trattava dell’infanzia: “Pìù noi tentiamo di guardarla da vicino, più lei ci osserva da lontano.” Ma l’infanzia, la bestia, la parola, non abitano forse nella stessa regione, alla stessa, remota distanza da noi?
Valerio Magrelli
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