L’ultimo volume di Ahmet Ümit è una raccolta di tre storie a sé stanti, di genere giallo, ambientate ad Istanbul. Si tratta di tre casi di omicidio e ad indagare sono il commissario Nevzat e la sua piccola squadra, composta dal vicecommissario Ali e dalla criminologa Zeynep. Questi tre protagonisti, presenti peraltro anche nel precedente libro di Ümit, diventano rapidamente dei “personaggi di fiducia” a cui ci si affeziona, come accade con dei vecchi amici.

Agatha Christie uccide un uomo in uno degli alberghi più prestigiosi della città. La lavorante di una manifattura tessile viene accoltellata nell’azienda in cui lavora. Un prestigioso oncologo sparisce nel nulla mentre sta per trovare la cura per il cancro. Sono questi gli incipit narrativi dei tre racconti che si trovano in questa raccolta (“Il nostro amore è un vecchio romanzo”, “La ragazza della tagliacuci”, “Cos’è successo a Sergej Nikolajevich Jerkovski?”). Le vicende che si dipanano a partire da questi incipit sono però molte di più: facoltosi esteti dalle peculiari abitudini sessuali travolti dai loro stessi desideri, vedove considerate pazze i cui mariti morti ricompaiono, criminali-gentiluomini d’altri tempi che si improvvisano negoziatori di ostaggi, matrimoni combinati che non tengono conto di spigliati figli omosessuali… La narrazione procede seguendo l’avanzamento delle indagini del trio investigativo che costruisce ipotesi, vaglia piste da seguire, si muove nella città e approfondisce il passato dei personaggi, li interroga, scopre retroscena e apre nuovi scenari. L’abilità di Ümit consiste proprio nell’essere un moltiplicatore di storie attraverso un’eccellente gestione del motore narrativo dei racconti.

La Istanbul in cui ci conduce Ümit è una città dalle tante sfaccettature: contiene un mondo moderno in cui la ricerca scientifica avanza, il professore luminare può essere stato rapito da una multinazionale del farmaco, spie russe fanno pressione sull’avanzamento delle indagini. Contemporaneamente contiene anche la nonna matriarca che maltratta la giovane nipote dai costumi immorali e faide tra famiglie proseguono simmetricamente per generazioni, un mondo in cui le vecchie contano di chi è il turno di uccidere. Nei racconti di Ümit può succedere di tutto: personaggi eccentrici, realtà che si mischia alla finzione fino a diventarne indistinguibile per cui Agatha Christie diventa una killer nella storica suite d’albergo a lei nominata, con le telecamere di sorveglianza che filmano la sua fuga. È un libro che fa intravedere anche un mondo sociale con molti aspetti controversi: ci sono personaggi di donne forti e professionalmente affermate che sono imprenditrici o criminologhe, c’è un commissario che è contemporaneamente molto affettuoso e a volte paternalista, che si batte per la non discriminazione di una bambina straniera nella scuola ma poi permette interrogatori i cui agevolmente si alzano le mani, per il quale tuttavia l’integrità è un valore e la corruzione è da combattere. Molti temi sociali fanno da sfondo alle vicende senza però essere tematizzati di per sé, sono parte del tessuto sociale raccontato; i racconti rimangono da questo punto vista nel senso più classico dei racconti di genere giallo.   

La vera protagonista della scrittura di Ümit, al di là delle trame degli omicidi e della ricerca dei colpevoli, è proprio Istanbul: una città crocevia di varia umanità, in cui la realtà non è mai del tutto quel che sembra, di cui si avvertono fasti e bagliori del passato e tutto il caos e le contraddizioni del presente.

Leggere Ümit è molto piacevole, la scrittura scorre bene nella traduzione molto curata di Nicola Verderame. È una lettura leggera, che fa viaggiare d’evasione e come ogni viaggio che si rispetti suscita sorpresa, piacere, ma anche, talvolta, un po’ di straniamento e qualche attrito. È una lettura che parte dal giallo ma in cui si trova molto più di quello che ci si aspetta proprio perché apre le porte e invita in un mondo lontano, pieno di fascino e che rimane sempre un po’ sfuggente.   

“Un’indagine per omicidio non consiste soltanto nella ricerca dell’assassino. E non si tratta nemmeno di risolvere un complesso problema matematico, nel quale i numeri sono persone e le operazioni i fatti. È piuttosto lo sforzo di comprendere a fondo l’essere umano, l’impegno per trovare un giusto modo di vivere. In tanti anni di carriera, ogni caso, risolto o meno, mi ha permesso di imparare preziose lezioni sulla vita. Dicono che si impari al meglio grazie alle proprie esperienze, ed è vero. Ma imparare non significa sapere. Talvolta proprio ciò che sappiamo può indurci in errore. Il rapporto causa-effetto che facilita molto la soluzione di un delitto, a volte può tramutarsi nel sipario nero che non ci permette di vedere la verità.

La scomparsa del Prof. Dott. Sergej Nicolajevich Jerkovski era uno di questi casi.”

Lisa Burger