Si chiama Arturo, ma tutti lo conoscono come il Grande e chissà, forse è davvero alto, robusto, mani grandi ma agili, sguardo misterioso ed enigmatico. Quando passa tutti abbassano gli occhi: è lui le Maître des heures, con il difficile compito di dare ogni notte la vita ai duecentodiciotto orologi a pendolo, «orologi male amati, di cui si era perduta la chiave, orologi che non si adattavano a nessuna alcova, tutti questi frammenti di tempo». Il suo duca, Gonzagues, è un uomo senza interessi e senza passioni, chiuso nella sua fredda dimora, fuori dal tempo, in un ritmo sconnesso e indefinito. Di maestri d’ore Gonzagues ne ha avuti due, Jerden e Giuseppe.
Tassinari, rapiti dal freddo dell’oceano e dall’assurdità del loro lavoro. Quello di portare il tempo in una dimensione in cui regna l’atemporalità, dove dare la corda a duecentodiciotto orologi non significa semplicemente far sì che il duca viva scandito dal monotono e ripetitivo suono delle lancette, è un compito troppo difficile per i due. A riuscirci sarà soltanto lui, signore del tempo per antonomasia e Grande per definizione, Arturo, lavoro preciso e attento, cresciuto in un tempo unitario e armonioso, forse anche vittima del suo tempo, del tempo della sua storia e della sua esistenza. Sì, perché a tradirlo sarà la sua passione, una storia spezzata condotta in un’altra dimensione dove il tempo non c’è più perché è stato vinto dalla disperazione. Il tono, quasi da oratore, ci aiuta a rimanere distanti pur partecipando all’intensa vicenda, conservando la speranza di una vita dove il tempo ci sia solo d’aiuto per costruire e verificare, per crescere e riflettere. Christophe Bataille ne Il signore del tempo riesce nel suo intento lasciando alla fine una storia breve ma incisiva: una bimba, Lodoivska, vittima del tempo e della fretta, chissà forse uccisa da chi il tempo aveva voluto affrontarlo e probabilmente amarlo: un tentativo fallito, un meccanismo saltato, una vita scaraventata in un mondo dove forse davvero il tempo non esiste. Lui, Gonzagues, duca e uomo senza tempo, cancellato dal trascorrere interminabile di giorni ed ore, consumato dalla sua atarassia e dalla sua apparente tranquillità. Ed è forse per questo che a diversi critici questo affascinante romanzo non è piaciuto, perché non abbiamo il coraggio di riconoscere nella sua atemporalità, nel suo disinteresse una parte (anche se piccola) di noi, quella dimensione che non ci appaga, ma che non ci dispiace. Un romanzo scritto con tanta passione e partecipazione, senza tregua, con la volontà quasi riconducibile ad uno stesso punto di andare avanti e di terminarlo, vittima forse anch’essa del tempo, che scandisce le pagine una dopo l’altra, con un tono di mestizia e di solitudine.
Graziella Di Grezia
Il libro
Christophe Bataille
Il signore del tempo
Einaudi, 1998
Collana: I Coralli
Traduzione di Paola Gallo
123 p., brossura
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