Insegnami la tempesta è il titolo del secondo romanzo scritto da Emanuela Canepa dopo L’animale femmina vincitore del Premio Calvino nel 2017. Seppur con toni e argomenti diversi, in entrambi i romanzi l’autrice rivela la sua sensibilità, unita a una indubbia capacità letteraria, che la rende molto abile nello scandagliare le complessità dell’animo umano. A colpirmi sono sempre le copertine dei suoi libri dai colori un po’ cupi e il cui sottofondo marrone bruciato sembra ricondurre alla natura viscerale che giace sotto la superficie delle cose. Le sue storie e i personaggi che le abitano, sempre molto ben delineati soprattutto dal punto di vista psicologico, sono il pretesto per raccontare un’istanza della vita, un sentimento prevalente, una o svariate tonalità dell’animo umano all’interno di una determinata condizione.

Nel caso di questo romanzo, la situazione in cui si muovono i tre personaggi femminili principali è, come dice il titolo, una tempesta, o meglio, un tempo burrascoso il cui prepotente preludio si evince già nelle primissime pagine in cui Emma, la prima a presentarsi, raggiunge, sotto un muro di pioggia battente, le mura di un convento di clausura alla ricerca di Irene, sua amica sin dagli anni dell’università, con la quale ha un conto in sospeso da moltissimo tempo:

Emma ha il tempo di osservarla. Le sembra molto diversa. I capelli neri sono tagliati corti, una ruga orizzontale le segna la fronte. Indossa una tonaca grigia, lunga e dritta, ma non porta il velo.

L’incontro tra le due donne, molto diverse tra loro, legate da un profondo affetto negli anni della giovinezza laceratosi poi in seguito a un episodio ben preciso, farà da sottofondo a tutta la vicenda. La terza protagonista della storia è Matilde, la figlia adolescente che Emma partorì in giovanissima età, la cui personalità sembra essere scandita dal rapporto difficile e contrastato con la madre. Emanuela Canepa inquadra, sin dagli inizi, questa tormentata relazione madre-figlia con parole che poco lasciano all’ambiguità:

Quand’è che le cose con Matilde avevano cominciato a peggiorare? Emma se l’era chiesto spesso, ma l’origine del disagio le sfuggiva. Sapeva solo che sempre più di frequente le capitava di sentirsi inutile. Una madre superflua. 

E ancora:

A differenza delle altre madri aveva smesso quasi subito di andarle incontro. Si era convinta che a Matilde non piacessero le smancerie, e del resto non le amava neppure lei. Vedeva frotte di bambini accendersi come lampadine mentre correvano verso le madri, e si sentiva in difficoltà.

Se Matilde incarna l’archetipo della figlia adolescente taciturna, dura, scostante e apparentemente autonoma, Emma raffigura un modello di madre che, a causa del proprio senso di inadeguatezza e di colpa, non riesce a trovare una modalità comunicativa in grado di fare breccia nel cuore della figlia. Il risultato è un rapporto fatto di resistenze, silenzi e un contatto fisico ridotto all’osso nel quale il lettore viene scaraventato senza sconti e che, insieme alla resa dei conti con Irene, costituirà l’ambientazione emotiva propedeutica alla “tempesta” evocata dal titolo. Ma sappiamo che nei romanzi, come nella vita, l’apparenza è costantemente impregnata di verità nascoste e di motivazioni ben più profonde che si annidano nell’humus di ogni esperienza umana e senza le quali le storie non esisterebbero. A tal proposito mi sento di affermare che l’autrice è in grado di tornare a quelle origini con molta perizia conferendo a ciascun personaggio uno spessore credibile e un ampio vissuto che regala al lettore la possibilità di identificarsi a fondo, empatizzando con le istanze dell’uno o dell’altro. In questa meticolosa costruzione dei personaggi e delle loro relazioni, la Canepa manifesta uno spiccato talento nell’osservazione della realtà emotiva di ciascuno e una potente, seppur non ovvia, capacità di resa narrativa che tiene il lettore incollato alla storia.

Maternità difficile e amicizia tradita fanno da corollario a un tema di fondo che, seppur non troppo evidente a un primo sguardo, pervade le pagine di questo romanzo dalla prima all’ultima: la vocazione. A tal riguardo, una bellissima citazione artistica fa della celebre opera pittorica, la Vocazione di Caravaggio, l’emblema della chiamata materna di Emma:

Emma si girò verso sinistra. La Vocazione.

Conosceva bene tra le tele del ciclo di San Matteo ma La Vocazione chiamava il suo nome più a voce alta… Era la sua tela, la visione in cui si riconosceva.

Poi tocca a Irene dar voce alle cause profonde che sottendono la sua scelta religiosa:

La libertà di essere totale. La libertà di non coincidere con niente, di non venire definita dal nulla. È come un volano, trattiene il tuo corpo tra queste mura mentre lo spirito può essere ovunque, focalizzato solo sul volo.

E infine Matilde la quale, senza nulla voler svelare sulle circostanze delle sue scelte, a un certo punto comprende che:

Qualunque cosa fosse accaduta in futuro, Matilde aveva la certezza che l’unico principio ordinatore per lei sarebbe stata la verità.

Ognuna di loro ha la propria vocazione: la maternità, la fede che transita dal concetto di libertà e la verità a tutti i costi diventano cardini imprescindibili senza i quali ognuna di loro sarebbe irriconoscibile tanto per il lettore quanto per sé stessa. Esiste una integrità, a tratti commovente, nel cammino verso consapevolezza di queste chiamate vocazionali che, a mio parere, coincide con la forza stessa di questi tre personaggi femminili legati tra loro da un filo che talvolta si accorcia, altre si allenta e altre ancora si aggroviglia creando matasse difficilmente districabili.

Ombretta Brondino