Parlaci di te.

Sono nato a Moncalieri e vivo da sempre a Torino. Lavoro nel campo della comunicazione ormai da una quindicina d’anni, alternando attività di marketing e comunicazione a quella di autore e giornalista. Fortunatamente, con un po’ di continuità.

Da quanto tempo ti occupi di marketing e in che consiste il tuo lavoro.

Essenzialmente il mio lavoro si concentra sul costruire una narrazione di marca efficace. Questo significa darle un tone of voice, capire come costruire l’ecosistema narrativo che deve ospitare il brand, definire nuovi modi per aumentare il business, trovare soluzioni per rendere più bella l’esperienza dei nostri clienti, trovare partner che possano essere affini a noi e progettarci cose. Mi occupo di questo in particolare da otto anni: in precedenza il mio focus era solo ed esclusivamente la comunicazione digitale, anche se l’obiettivo alla fine è sempre riconducibile all’atto del raccontare.

Quanto è stata importante la tua formazione per quello che fai oggi?

Molto, tenendo conto che io ho avuto la fortuna anche di fare un master molto particolare, sulle tecniche di narrazione. Ma anche l’Università mi è stata veramente di grandissimo aiuto. Poi c’è l’esperienza sul campo, ma ahimè quella si sviluppa solo con il passare degli anni.

I libri che ruolo hanno nella tua vita?

Non mi ritengo ancora un buon lettore, pur leggendo spesso e volentieri e di tutto un po’. Questo perché mi rendo conto di avere un palato non ancora così raffinato, e sono ancora moltissime le cose che dovrei leggere, per dire, anche solo fra i classici. Ciò non toglie che ci siano libri che ho letto avidamente, anche negli ultimi tempi.

In che modo sono stati importanti per il lavoro che fai?

Aiutano a immaginare, e per me l’immaginazione è la chiave di tutto. Poi ci sono libri e libri, alcuni si propongono di spiegarti le cose e altri di lasciarti delle domande. Non necessariamente i secondi sono meno utili dei primi, anzi talvolta sono più utili, perché – almeno nel mio caso – l’immaginazione si nutre di domande. In un fumetto (PK, se siete interessati) una volta ho letto: “Più cose vedo, più cose conosco. Più cose conosco, meno cose capisco”. Ecco, i libri servono a farti anche venire la consapevolezza che sei in continua ricerca, perché la complessità, per potercisi orientare, esige comprensione. E dalle domande puoi uscire a volte solo con l’immaginazione.

C’è un libro in particolare che ha avuto un ruolo decisivo in quello che sei oggi?

Sì, ed è stato Marcovaldo di Italo Calvino.

Ce ne vuoi parlare brevemente?

Lo leggevamo alle medie. Ricordo che facevamo queste lunghe sessioni di ascolto, la professoressa leggeva e noi ascoltavamo. Serviva, diceva quella professoressa, per scoprire la bellezza della lettura. La cosa paradossale è che ci faceva venire voglia di leggere ascoltando. Beh, ricordo che il primo libro fu Marcovaldo, e ascoltando quelle storie di un uomo qualunque, in particolare quella dove Marcovaldo cerca di dormire su una panchina una notte d’estate. Capii allora che la narrazione era un mondo in cui volevo in qualche modo stare.

Intervista a cura di Angela Vecchione