Numero 15 | Dicembre 1998

La prima domanda è quasi scontata: perché Pasolini, perché l’ennesimo saggio su un autore così studiato?

Il mio interesse per Pasolini inizia dove terminano tutte le discussioni che lo riguardano. Oppure, in altri termini, inizia dall’intensità di queste discussioni: non solo dal che cosa si discute ma anche dal perché se ne discute. Non c’è nulla nell’azione ideologica e artistica di Pasolini che giustifichi l’attualità – parlerei perfino di moda – che appartiene invece al personaggio Pasolini. Non siamo di fronte a uno scrittore: siamo di fronte a un feticcio. E credo che questo abbia qualcosa a che vedere con la pratica di sconfinamento, di lacerazione della testualità, prodotta da Pasolini.

In che modo quest’idea si differenzia dalle interpretazioni date fino a oggi, dalla ricerca e dalla critica letteraria?

È il modo collettivo di pensare a Pasolini, di consumarlo, che si differenzia dalla comunicazione letteraria classica. La critica letteraria ci dice quale scrittore scrive meglio di altri. E la cultura politica ci sensibilizza verso gli ideologi con maggiore autonomia o originalità di pensiero. Ma non sono queste qualità a tenere in vita Pasolini. Le sue poetiche sono molto datate, e proprio nel loro aspetto migliore, cioè nel loro radicamento nei luoghi della comunità friulana e romana. Allo stesso modo, le sue celebri profezie sono onestamente lontane dalla realtà contemporanea. Eppure a nessun autore viene concesso uno spazio paragonabile. Questo è un fatto: rimane da spiegarlo. Da anni stiamo girando intorno al problema: l’inspiegabile vitalità di uno scrittore datato che spesso è stato anche, è ora di dirlo, un mediocre sociologo. La domanda che nessuno pone è: perché Pasolini, a differenza di scrittori migliori e di teorici più raffinati, è così popolare, così presente nel dibattito quotidiano? E la risposta è che Pasolini, scardinando tutti i linguaggi della comunicazione sociale fino a esporre il proprio corpo, si è fatto personaggio mediale, eroe dell’immaginario.

Lei è nato nel 1973. Non c’è forse, in tutto questo, anche la rivendicazione di un modo di pensare diverso perché sviluppato in tempi già lontani da quelli vissuti dallo stesso Pasolini?

Forse la distanza generazionale rispetto alle ideologie del tempo rende più facile l’assimilazione di nuove realtà. Ma stiamo parlando di un problema più ampio. Molti ricercano la vitalità di Pasolini nelle sue poetiche o nella sua ispirazione civile. Operazioni legittime, a volte inutili. Ma nella figura di Pasolini rimane una zona d’ombra. È qualcosa che va oltre i limiti della comunicabilità, oltre le cornici dell’arte e le possibilità del sapere, oltre le determinazioni del testo. È certo che per la mia generazione liberarsi dei vecchi concetti è un atto immediato, meno compromettente a un livello ideologico e affettivo. Il non aver vissuto quella stagione rende più facile accettare la trasformazione di una figura istituzionalizzata, come quella di uno scrittore, in un’icona televisiva. Ma questa trasformazione è un fatto compiuto, che non risponde soltanto ai desideri di una cultura di massa, ma anche alla disarticolazione delle poetiche, a cui Pasolini ha più o meno consapevolmente dedicato la seconda parte della sua produzione. Non è casuale che tutti i fili della sua ricerca si concludano con un’opera – La meglio gioventù nella poesia, Petrolio nella narrativa e Salò nel cinema – che è una destrutturazione della precedente esperienza artistica. La popolarità di Pasolini nasce in questa zona d’ombra, in cui le qualità del testo vengono sacrificate al fascino dell’attraversamento, del sacrificio che è già rinascita nel consumo collettivo. C’è qualcosa di straordinariamente e insieme di terribilmente spettacolare nella devastazione fisica che conclude questo processo di inaridimento, di svuotamento delle poetiche tradizionali.

Oggi, dovrebbe quindi risultare più facile porsi fuori dalle prospettive tradizionali della letteratura, per recuperare i valori spettacolari di questa esperienza.

Sicuramente sì. E in molti casi – quello di Pasolini è uno di questi – è la stessa letteratura a condurci fuori dai suoi poteri. La letteratura nasce in un sistema che può mutare, e quindi metterla in discussione. In Pasolini, ad esempio, la scoperta del cinema – per quanto giustificata da un enorme apparato teorico – si spiega come necessità di adeguarsi ai ritmi della contemporaneità. E non è casuale che la sua ricerca si concluda nella scrittura di Petrolio, che mostra la propria rovina, la propria natura di antiromanzo. Non è vero ciò che si sostiene, ovvero che, improvvisamente, il mondo non entra più nella pagina: accade semplicemente che gli scrittori se ne rendono conto, e qui nasce il loro dramma. In Pasolini, alla crisi della letteratura segue un comportamento spettacolare, destinato per sua natura ad abitare le mitologie collettive. Ridurre questa esperienza ai suoi valori letterari significa riproporre la discriminazione tra i processi intellettuali gestiti da pochi e la sregolatezza dei fenomeni consumati da molti. La memoria di Pasolini, a dispetto delle sue ideologie anticonsumistiche, appartiene a pieno diritto e per sua stessa natura a questi secondi fenomeni.

Un feticcio, quindi.

Un feticcio, esattamente come tutti gli oggetti culturali che consumiamo. È paradossale ma proprio Pasolini, a cui attribuiamo il massimo investimento nella letteratura, è portatore di un valore antiletterario. Un valore definitivo. Se la sua figura popola la televisione e la cultura di massa, interrogarsi sulla legittimità di questo processo, come spesso viene fatto, è inutile prima che discutibile. Siamo di fronte a un processo che si giustifica da sé. Prima di criticarlo, è necessario intenderne il fascino, il radicamento. L’esperienza di Pasolini ci insegna questo: che laddove muore il privilegio sociale della letteratura, inizia a crescere la volontà sfrenata del consumo di massa. È una trasformazione in corso, se ne rendano conto o meno i protagonisti, se ne rendano conto o meno i critici chiamati ad interpretarlo.

Intervista a cura di Lea M. Iandiorio

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Pier Paolo Pasolini di Andrea MiconiAndrea Miconi
Pier Paolo Pasolini. La poesia, il corpo, il linguaggio
Costa & Nolan, 1998
169 p., brossura
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