Ci sono libri che il digitale lo sanno spiegare molto bene. Questo perché sanno gestire uno dei punti centrali del riuscire nell’impresa: non parlano di digitale.

È un paradosso, vero, ma indispensabile se vogliamo intendere cosa sia “digital” e cosa non lo sia. Per molti, il digitale è ancorarsi a una pagina Facebook, veicolare contenuti attraverso dei bit, gestire la propria comunicazione attraverso canali che si appoggino al web: il presente e il futuro, però, ci parla di un mondo dove il digitale permea anche ciò che digital non è, costruendo sovrastrutture di senso che non sono solo delle estensioni sensoriali, ma dei cambi di paradigma, nuovi mindset che influiscono sul comportamento, molto più di quanto hanno fatto evoluzioni tecnologiche come l’avvento della televisione (cui molto dobbiamo, rispetto alla capacità di trasformare l’uomo e i suoi comportamenti).

Spiegare quindi il “digitale” quindi non è più faccenda legata ai tecnicismi (o meglio, non solo) ma è più una faccenda che coinvolgerà sempre più filosofi, sociologi e antropologi.

Non a caso fra gli addetti ai lavori una delle pubblicazioni più interessanti di quest’anno è stata frutto del lavoro di un filosofo, Cosimo Accoto, ricercatore al MIT e autore de Il mondo dato, che nel suo libro riflette sull’impatto che avrà nei prossimi anni la cultura “digitale” su cui si poggia la cultura dei dati. Un libro non semplice, ma che parte da tematiche strettamente tecnologiche per arrivare a toccare corde decisamente più umane e tangibili.

Questo è il piano di chi nel web ci lavora, ci vive e lo studia per edificarne, giorno dopo giorno, l’espansione.

Per chi invece vuole concentrarsi solo sulle figure che il web lo abitano da semplici cittadini, a occhio e croce una fetta compresa fra i 3 e 3 miliardi e mezzo di persone – quelle che oggi hanno una connessione – , uno dei libri da non perdersi quest’anno è senza dubbio quello uscito per Einaudi quest’autunno, e il cui autore è uno scrittore noto per altri tipi di opere: Alessandro Baricco, che con The Game torna alla saggistica, a più di 12 anni dall’uscita de I Barbari (di cui The Game è il seguito dichiarato). Come il capitolo precedente, questo lavoro più corposo, nato probabilmente da un’idea più pianificata e pensata e pubblicato da Einaudi, rischia di passare un po’ in sordina, nonostante proponga – proprio come I Barbari – degli spunti notevoli da più punti di vista. Mi sono fermato però a interrogarmi su quali ragioni ci debbano essere per leggerlo e tenerlo a portata di mano, e ne ho individuate quattro. L’elenco potrebbe anche allungarsi, per carità: per ora, però, ci fermiamo qui.

1. The Game non è (solo) un libro sul web

Anche perché Baricco il web non lo abita. Ammette candidamente di avere uno staff che lo supporta per l’utilizzo dei social, e di non amare il magma superficializzante su cui si muovono gli ex Barbari (per capire perché “ex”, ovviamente leggete il libro). Il web però è un pretesto per parlare della rivoluzione che i cambiamenti che il web ha portato con sé hanno generato: questa non è affatto una sfumatura di secondo piano, se si considera che a prima vista The Game potrebbe sembrare un manuale per capire come Skype, Facebook o Alphabet impattano sulle nostre vite. In realtà è un saggio su cosa abbia portato l’uomo a inventare Skype, Facebook e Alphabet, e a cosa serviranno questi strumenti in una mutazione che è prima di tutto umana.
Parla molto di più The Game di persone che molti saggi di sociologia che potrete trovare nella libreria universitaria più vicina.

2. Propone un punto di vista diverso

In The Game a parlarci è un uomo che si dichiara del secolo scorso, di un’élite passata, che si interroga e riflette su un qualcosa che in molti oggi si propongono non solo di spiegare, ma anche di capire. Impresa difficile, considerando che nessuno aveva capito cosa sarebbe stato l’iPhone o l’avvento del concetto di portabilità del web, mentre avveniva. C’era chi aveva fatto teorie e previsioni, certo: ma i più erano addetti ai lavori che andavano oltre il semplice interpretare la superficie, e tali letture rimanevano comunque alla mercé di una cerchia ristretta di persone che il web lo vivevano.

Ecco, questo saggio prova a cambiare il punto di vista, offrendo una lettura che sta a metà del viaggio della memoria con l’osservazione di qualcosa che sta avvenendo. Non si propone di dare solo una lettura personale, ma lascia domande, molte, e lo fa con la delicatezza di chi ammette d’aver esplorato un mondo non suo. Un cambio di punto di vista interessante.

3. Parte da uno spunto acuto

Se si parla a un uomo o a una donna di marketing di “Gamification”, non c’è dubbio che capirà di cosa si sta parlando. Adottare il paradigma del gioco per descrivere una mutazione comportamentale che riguarda l’individuo e la società è stata una mossa che da un punto di vista strettamente saggistico ha avuto un qualcosa di profondamente acuto. Per questo The Game è un libro che – partendo da queste premesse – anche il più dedito dei marketer dovrebbe leggere.

4. Non si chiude con una tesi definitiva

Al punto 2) si è parzialmente fatto cenno al fatto che sia un libro che fa porre molte domande, e questo è essenziale se il tema è il mondo in cui ci muoviamo oggi, il mondo che farà presto o tardi i conti con l’evoluzione tecnologica che ci porterà l’AI nel mondo di tutti i giorni. Senza domande infatti è impossibile avere la dovuta apertura mentale che una tale osservazione richiede: in questo libro Baricco sta dando letture strettamente personali ma non imponendo un punto di vista, semmai sottolineando che il viaggio è ancora in essere e che la sua è una lettura che nasce dall’esercizio che compie chi sta cercando di capire, non chi sa.

Ecco, queste sono le quattro ragioni che ho isolato per leggere The Game. Opinabili? Certamente, tutto lo è. Poche? Forse. Certamente, sono riflessioni nate nello spazio di un’osservazione più ampia, che comprende la lettura di molti testi più “settoriali”, scritti da specialisti di molte delle arti che Baricco cita (perché sì, “vivere” il web, costruirlo, è un’arte, ed è solo un esempio) e che possono entrare nei tecnicismi di una trasformazione epocale, facendo uno screening delle meccaniche più puntuale e preciso. Ma The Game non è questo: The Game è il viaggio di chi osserva un movimento che per la prima volta sta cominciando a mostrare la profondità delle cose: non deve spiegare le meccaniche, ma si propone di comprendere il perché, il dove, e dare il là per continuare a riflettere su quale sia la destinazione del tutto.

Una missione difficile, difficilissima: ma cui val la pena prendere parte.

Francesco Gavatorta