Il libro un po’ matto che recita come retro di copertina: “una storia di amicizia e di prurito”.

Perché è un po’ matto? Perché ci racconta una storia divertente, di alieni che abitano nella nostra testa, fuori, sotto forma di parassiti e dentro perché i piccoli abitanti scelgono come sistema di comunicazione la telepatia per parlare al nostro ragazzino protagonista che si chiama Hugo, detto Chicco.

A quasi tutti sarà capitata la disavventura della pediculosi, ma, come dice l’autore, gli adulti giurano di non averli mai avuti.

Quindi è presumibile che non esistano.

Però comunicano con la telepatia e lo fanno con trasmissioni non sempre di buona qualità, per cui possono esserci interferenze, con immagini strambe, come in un montaggio video veloce fatto con spezzoni diversi.

Insomma il parassita che temporaneamente può vivere sul nostro cuoio capelluto o, come in questo caso sulla testa di un adolescente, non esiste ma invece esistono forme aliene dotate di navicelle spaziali e capacità di comunicazione telepatica che possono finire nella foresta di capelli che abbiamo in testa e confonderci le giornate.

Anche il nostro protagonista ovviamente non ha i pidocchi, anche se è vero che prova prurito e spesso deve trattenersi dal grattarsi, ma c’è chi dichiara di averli visti,  la prof, per esempio, il padre, la madre e l’amichetta Dyleen, che a Chicco piace molto.

Come sono finiti sulla testa di Chicco? Per colpa di un’avaria della loro astronave che ha la forma di una teiera e per salvarsi i piccoli mostricini sono fuggiti sulle scialuppe di salvataggio, navicelle a forma di tazze, dopo il viaggio si sono ritrovati su di un albero e da lì il caso ha voluto che il primo passante fosse Chicco su cui sono scesi e con cui  hanno fortuitamente iniziato a comunicare. Tutto qui. Cosa c’è di strano? Nulla.

Gli alieni sono ingenui e molto chiassosi. Non è facile limitare le loro intrusioni nella testa ma Chicco riesce a contenerli, a discuterci e ad instaurare un buon rapporto, si affeziona persino a loro.

Gli alieni abitano sul capino del ragazzo dotato di ciuffo, e comunicano con lui con mille domande. Uno di loro si perde mentre cerca di scoprire vizi e virtù di altre forme umane. Un paio di alieni scambiano l’olio alle erbe antipidocchi, per un dessert e poi chiacchierano, discutono ma soprattutto cercano di capire come vivono i terrestri.  Si interrogano su diversi concetti, come quello di amicizia, che non capiscono e lo paragonano al piacere di uno spuntino. La civiltà aliena cerca di orientarsi tra le nostre abitudini alla fine Chicco li aiuterà a cercare una via per ritornare a casa, sul loro pianeta.

Il libro scorre un po’ come un cartone animato, complici le immagini in bianco e nero dell’illustratrice Giorgia Castiglioni.

I pidocchi alieni sono insomma piccoli pasticcioni simpatici e, soprattutto, resistono. Gli adulti si premuniscono di creme e shampoo per sterminare questo popolo che loro considerano infestatore, ma Chicco li custodisce in testa e qualche volta li difende mettendoli al sicuro nel cappello.

Alla fine partiranno e Chicco  ne sentirà la mancanza ma, probabilmente, il fatto di raccontare a loro il nostro mondo permetterà al nostro protagonista di capirlo un po’ di più, di dipanare certe incongruenze e di avvicinarsi a Dyleen, la compagna. Poi a superare la paura dei bulli, che alla fine sono solo spaventati e forse “abitati”, come lui,  come Bratt, il ragazzo in bicicletta che non è poi così cattivo come vuole fare credere.

Un libro matto, insomma, che parla di pidocchi amici e di amici incontrati grazie ai pidocchi.

Manuela Tamietti