Nel panorama della letteratura italiana del Novecento Luigi Malerba è stato uno scrittore divertente e divertito. Narratore elegante, brioso e prensile, funambolesco quanto conservativo, ha sempre dimostrato nelle proprie opere una poetica esplicitamente indagatrice della storia, del costume, dei risvolti e delle coincidenze della vita, passando con disinvoltura dal romanzo al saggio linguistico, dalle sceneggiature per il cinema e la televisione ai racconti per ragazzi.

Malerba ha sempre guardato con interesse al passato reinterpretandolo per il proprio lettore con nuove suggestioni e riosservandolo da angolazioni inedite. Ne è un felice esempio Itaca per sempre, pubblicato nel 1997, un romanzo che indaga sottotesti e sottintesi degli ultimi capitoli dell’Odissea e, in particolare, dei due personaggi principali, Ulisse e Penelope, ribaltando stereotipi maschilistici e immaginando storie rimaste imprigionate nelle strofe omeriche.
La trama del romanzo accoglie, a capitoli alternati, i pensieri del Re di Itaca e quelli della sua consorte che ripercorrono gli stessi eventi ma dalle loro diverse prospettive e sensibilità. Le loro voci appaiono dunque sotto forma di intensi monologhi interiori: quelli di Ulisse più ricalcati sull’originale omerico, quelli invece di Penelope pronunciati da una personalità più ricca rispetto a Omero che finalmente prende la parola. Il lettore prova così il privilegio di conoscere i segreti di questi personaggi, tutto quello che non riescono a dirsi, le loro motivazioni di uomo e di donna, quel mare di sentimenti che si può udire, come amava ricordare Ulisse lontano da casa, solo accostando l’orecchio alla conchiglia trovata lungo la spiaggia.

Inserendo inoltre il divenire nella dimensione psichica e fisica dei personaggi, Malerba pone particolare importanza al tema del riconoscimento. Perché quest’ultimo avvenga, l’uso esclusivo della memoria non basta più dal momento che a essere decisivo non è il più riconoscimento dell’identico ma di ciò che il tempo cambia e che deve essere letto per ciò che è diventato e non solo per ciò che è stato. In altre parole tutto il testo è pervaso dalla domanda su quanto sia vero quello che ricordiamo rispetto all’Altro e poi su quanto sia rimasto o su quanto sia cambiato.
L’essere riconosciuto e riaccolto sta particolarmente a cuore a Ulisse ma ritornare a Itaca significa forse affrontare una nuova realtà da parte di un uomo dall’intelligenza da sempre insidiosa che, benché sconfitta dai lunghi viaggi, ha ancora voglia di esercitarsi. E il bersaglio diventa Penelope:
«I figli restano tuoi figli anche se non ti riconoscono, perfino se le circostanze te li rendono ostili, ma una moglie che ti tradisce diventa un’estranea, non avendo legami di parentela e di sangue. Non ho mai dubitato di Penelope in tutti questi anni, ma i dubbi mi assalgono proprio ora che i miei piedi calpestano, così spero, l’arido suolo della mia Itaca. Quando le onde tempestose hanno messo in pericolo la mia nave, quando i venti hanno spezzato i robusti alberi che reggevano le vele, il mio pensiero correva a Penelope che aspettava il mio ritorno e questo pensiero mi ha dato la forza di combattere avversità con cui gli dèi, invidiosi dei miei successi, hanno voluto rendere difficile il mio ritorno. Perché temo ora di avere perduto lo scopo del mio travagliato ritorno?».

Da questi pensieri ad alta voce, deduciamo quanto Ulisse sia pensieroso e titubante, in qualche modo diverso da come ce lo ricordiamo. Quello che ritorna a Itaca, terra che non riconosce nel suo mutato paesaggio e nei suoi nuovi padroni assedianti, i Proci, è un uomo cambiato. Lasciatasi infatti alle spalle la sua biografia eroica e avventurosa, tra l’assedio di Troia e i molti viaggi compiuti, ci parla un marito che si interroga sulla tenuta dei sentimenti, non tanto dei propri quanto di quelli di Penelope, quando si è stati troppo lontani. Ha notizia che la sua reggia è da tempo invasa da aitanti e giovani guerrieri che assediano il suo trono e il suo talamo nuziale. E si domanda: Penelope ha ceduto, forse dandolo per disperso, si è rifatta una nuova vita? I dubbi abitano la sua mente quando invece la fiducia dovrebbe essere di conforto alla stanchezza.

Ulisse si lascia pertanto impressionare, lui che è stato un astuto e sublime mentitore e un abile tessitore di inganni, dalle stesse parole che escono dalle proprie labbra. Il suo animo è diventato fragile perché non regge a nessuna emozione, deve trattenere di continuo una pioggia di lacrime quando ritrova la fedeltà dei propri servi, del cane Argo, il primo a riconoscerlo, e del figlio Telemaco che nel frattempo si è fatto uomo. Lacrime, decisamente inconsuete, che lasceranno la stessa Penelope interdetta perché nel suo ricordo il suo Ulisse non era capace di piangere.
Coperto di stracci come un viandante giunto da terre lontane e in cerca solo di un riparo, decide di compiere la sua ultima astuzia: si fa riconoscere dalle poche persone fedeli, imbastendo la sua vendetta contro i Proci usurpatori, ma non dalla moglie perché Ulisse ora si fida solo dei propri occhi. Ritiene infatti che con un solo sguardo capirà le cose che si vedono e anche quelle che non si vedono per sondare, una volta introdottosi nella reggia, la fedeltà di lei. Peccato che in Malerba Penelope lo abbiamo immediatamente riconosciuto ma volutamente tace e lo accoglie con una collana di lapislazzuli al collo che lui non gli ha mai donato negli anni in cui erano sposi felici. Che sia il dono di qualche pretendente? O un semplice vezzo di donna? Le cose si complicano…
Tuttavia ritrovare Penelope dopo vent’anni è una vera emozione. Il suo viso supera in bellezza la memoria che aveva e lo stupisce il profilo dalle linee severe di una donna per la quale il tempo è certo passato ma che appare ai suoi occhi con una nuova fermezza, un rigoroso autocontrollo, così lontano anche dalla rappresentazione omerica. Come molti uomini, Ulisse non guarda mai le donne di profilo pure conoscendone ogni particolare del viso a memoria. Ulisse non sa che Penelope sa e ci si domanda come non faccia a capire, nonostante i suoi travestimenti e gli anni trascorsi, che una moglie intercetta subito la presenza del proprio uomo.

Riconoscersi inoltre non significa ritrovarsi dopo decenni di assenza. Quello che Ulisse e Penelope non comprendono è entrambi hanno compiuto un viaggio che li ha profondamente trasformati: uno reale, esteriore, quello di Ulisse, di colui che è partito, punteggiato da azioni e avventure che lo hanno portato a chiamarsi Nessuno, perdendo la propria identità, e a sentirsi estraneo nella propria Patria ritrovata; uno interiore, quello di Penelope, di colei che è rimasta, abitato da uno straziante stato di attesa, di pensieri estenuanti e da una buona dose di resilienza, di chi fa fatica a riconoscere chi è ritornato, di chi ha compiuto un viaggio dirimente, pure restando ferma, camminando dentro il proprio ‘io’ alla ricerca di uno spiraglio di luce a cui aggrapparsi.
Se dunque Ulisse ha deciso di non palesarsi a lei, Penelope, amareggiata da questa mancanza di fiducia, gioca le sue carte e fa di tutto per non riconoscerlo inscenando dunque con Ulisse un singolare braccio di ferro. La giovane sposa morbida e premurosa che egli aveva lasciato si trasforma volutamente in una donna severa, piena di misteri, forse ancora più seducente di prima ma molto diversa. Lo tratta con la gentilezza un po’ distaccata che si può concedere a un povero vagabondo, così lui riferisce, compagno di Ulisse sotto le mura di Troia, e ha per lui quei piccoli gesti protettivi che di solito si hanno per le persone anziane. Cosa che mina e non poco l’orgoglio maschile del suo sposo ancora nel pieno del vigore fisico. Tuttavia è stata una scelta di Ulisse rifiutare gli abiti offerti e ha preteso di conservare i miseri indumenti con i quali è arrivato, allo scopo di nascondere la propria identità ai Proci e, per massima prudenza, a Penelope. E ci è riuscito fin troppo bene. Ma questo Penelope non glielo perdona e, come tutti gli eroi di Troia, Ulisse, come lo stesso Agamennone, trova nella propria reggia la moglie che non si aspetta.

«Sono arrivato con l’idea straziata di riconquistare Itaca e di controllare la fedeltà di Penelope e mi trovo sperduto e confuso proprio come il vagabondo che ho messo in scena e che non ha strumenti per capire. Devo convenire che è più facile prevedere le mosse di un nemico in guerra che i pensieri dell’ingenua Penelope. Una volpe.»

La Penelope di Malerba ha resistito a ogni tentazione, pure avendo la reggia invasa da epidermidi
maschili desiderose e invitanti, in cuore suo il legame con Ulisse non si è scalfito ma considera il suo vagabondaggio in terre lontane come un vizio esecrabile che fa dimenticare la casa e gli affetti. Forse non è dunque tanto la privazione dello sposo a raffreddarla quanto l’assenza di un padre per il proprio figlio, Telemaco, bisognoso di una guida e di un re per una terra che è solo una copia sbiadita di quella rigogliosa di un tempo. Penelope ragiona e si comporta dunque da regina attenta al benessere della propria stirpe e del proprio paese e appare così lontana dall’immagine della, per così dire, ‘’casalinga’’ abbandonata in attesa del ritorno del proprio uomo. Quanto ama giocare con la letteratura Malerba proponendoci un Ulisse quasi fedele al racconto di Omero e una Penelope che esce dall’ombra e si protegge dalla «orazion picciola»?
Prima dell’incontro con lo sposo, anche la mente di Penelope è minata dal dubbio, perché pesano vent’anni di assenza, senza avere notizie, se non incerte e precipitose come il vento di Borea:
«Ciò che temo invece, più delle Sirene e delle Maghe, è che tu sia stato sedotto dalle arti di una delle tante femmine perverse che gli dèi spargono sul cammino degli uomini, e che sia questa la vera spiegazione della tua lunga assenza. Anche gli uomini più solidi sono facile preda delle tentazioni. Molte voci sono giunte alle mie orecchie, e io ho cercato di soffocarle con la fiducia e con l’amore. Sono una donna debole e sola, ma in questi anni ho trasformato il mio letto in una fortezza inespugnabile mentre tu vai in giro non si sa dove per il vasto modo».
Non dimentichiamo che Ulisse e Penelope non sanno più nulla uno dell’altro, si può dire, da una vita. E in queste situazioni tutto e il contrario di tutto può essere accaduto. Quando si è privi di notizie, si comincia a fare congetture e, con il passare del tempo, a nutrire sospetti che disegnano un’altra persona da quella che ricordiamo modificando in noi stessi il modo di percepire. Tuttavia se la ‘’mente colorata’’, come la chiamava Citati, di Ulisse, abituata a tessere verità con l’inganno, è rimasta intrappolata in un autoinganno sulla presunta infedeltà della moglie di cui non ha prove ma si compiace di andarle a scovare, quella decisamente meno machiavellica di Penelope, ma non per questo meno solida, ha solo bisogno di un momento chiarificatore, benché lei non abbia alle spalle un curriculum di imprese, anche amorose, come il marito. In questo ritratto Malerba rende i protagonisti personaggi decisamente umani, vicini a noi, strappati dalle teche della mitologia.
Penelope, che conosce bene l’animo di Ulisse, teme che l’esperienza di guerra non abbia soddisfatto la sua vanità e il suo orgoglio e gli infiniti indugi sul ritorno a casa cominciano a spiegarsi nella sua testa con il timore che la vita pacifica a Itaca, vicino alla sua sposa, al figlio e agli amici, non soddisfi più la sua ambizione di gloria. E questi pensieri fanno sì che qualcosa dentro di lei ogni giorno muoia. Ma resiste. Perché, se anche Ulisse ha lasciato le sue sonde come un abile marinaio che naviga tra gli scogli, difficilmente potrà raggiungere i segreti del suo animo perché anche Penelope sa fingere quando occorre, ha fatto lunghi esercizi negli anni per difendersi dagli assalti dei Proci, dalle loro lusinghe e dalle trame dei servi e non fa entrare nella propria reggia cavalli di legno come doni del cielo. Come sa che Ulisse non solo racconta le cose che gli succedono ma fa succedere le cose per poterle raccontare.

In una canzone dei Subsonica, Dentro i miei vuoti, si narra di due solitudini che si attraggono, di due intrusi che sorvolano le tangenziali dell’intimità fiutando diffidenze e affinità: quante volte abbiamo provato sensazioni immediate, anche sbagliate, come i protagonisti di Itaca per sempre, quante volte ci siamo fatti i nostri film mentali ancora prima di avere la cinepresa tra le mani?
Quante volte ci siamo chiesti: tu chi sei veramente? Ma, al tempo stesso, abbiamo detto: resta? Riuscirà Penelope a riconoscere e ad accettare Ulisse e a ricucire lo strappo esistenziale di cui entrambi sono vittime? Tutto sembra nelle sue mani. Riuscirà a porre fine a quello stato di assedio in cui Ulisse viene fatto sentire un impostore tanto da non resistere alla tentazione di una nuova avventura attratto dal richiamo del mare mentre osserva da Itaca alcuni marinai verso i quali basterebbe alzare una coppa di oro lucente per garantirsi un posto a bordo?

«Ogni volta che vedo il mare il mio cuore si gonfia di desiderio, chiudo gli occhi e già mi vedo sulla tolda di una nave con il vento salmastro che mi accarezza il volto, immagino le lunghe notti sotto il cielo stellato quando il mare è tranquillo e l’aria tiepida invita al sonno. Solo chi ha molto navigato e ha attraversato i mari in pace e in tempesta conosce la gioia che il mare infonde nell’animo dei naviganti»

Claudio Musso

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