La casa delle madri, primo romanzo di Daniele Petruccioli -già noto in ambito editoriale in qualità di traduttore- e nuovo, piccolo gioiello della casa editrice indipendente TerraRossa Edizioni, ha partecipato alla dozzina della LXXV edizione del Premio Strega su segnalazione di Elena Stancanelli.

Un peccato non trovarlo nella cinquina, questo libro articolato e ricco di temi che si concede a una molteplicità di letture a seconda dell’occhio di chi legge.

La trama la presenta lo stesso Petruccioli: Le aspettative delle madri nei confronti dei figli sono sempre una faccenda complicata di per sé. Quando i tuoi unici figli sono due gemelli, di cui uno è sano e l’altro malato, la cosa tende a complicarsi ancora. Se poi la madre ha assunto il ruolo di ribelle fallica in una famiglia numerosa e patriarcale fatta di pochi maschi e molte femmine, il risultato rischia di essere particolarmente ingarbugliato.

Ma qui più che altrove sono le scelte dell’autore in tema di ricerca lessicale (non priva di preziosismi: penso a quel chioccolìo dell’acqua di fontana che giunge dalla finestra, e resto ammirata dall’accuratezza dell’autore in cui si riconosce l’esattezza del traduttore) e dell’immagine a sviluppare una complessità di lettura che va ben oltre il sistema di rapporti di un romanzo famigliare.

Fin dall’incipit il narrato si muove per sottrazione, accostando scarni elementi architettonici a una abbondanza di aggettivi  di “smottamento” che entrano in risonanza e determinano la tonalità emotiva dell’intera opera:

La casa è vuota. Le camere sono spoglie, le porte aperte, le finestre spalancate. I mobili non ci sono più, sono stati portati via da tempo. […] I pavimenti grigi e polverosi che si susseguono identici di stanza in stanza, con i loro buchi sfondati, le spaccature grossolane delle tracce per gli impianti ancora da montare, le impronte lasciate sulla polvere dagli scarponi, il senso di sventramento generale […] pavimenti compassati dai passi della morte.

(Giro le parole sulla lingua come fosse vino e assaporo le allitterazioni in s e p, le sibilanti che si avvicendano alle occlusive sorde, puntellate da dure vibranti. Questo è un libro che suona, nella mente e ad alta voce, benissimo. Una reminescenza di T.S. Eliot mi aleggia nella testa -anche qui, le ninfe devono essere partite).

Ma se i temi della mancanza e della perdita si declinano in molteplici modi (dall’assenza completa di dialoghi in tutto il libro, all’abbandono dei confini interpersonali nella sequenza di sesso, dal rifiuto del nome di famiglia dell’adolescenza di Ernesto e la perdita di questo stesso nome – e della targa che lo porta inscritto – alla perdita delle proprietà immobiliari della famiglia, fino alla perdita definitiva, quella della memoria, causata dall’Alzheimer), l’assenza trova il suo contrappunto nella pienezza composta della scrittura limpida di Petruccioli, nello stile terso, nel ritmo cadenzato creato dalle ripetizioni e dai molti incisi disseminati nel testo

Succederà tutto più in là. Adesso è il momento della volizione, della presenza, del tentativo inconscio di scacciare la morte via da casa. Adesso c’è appena stato il funerale del notaio e nella casa si svolge una grande festa di bambini. 

(e oh!, tutti quegli adesso, e tutti ipresenti narrativi del narratore che convivono con i futuri del preannuncio in una narrazione che diventa circolare, fuori dal tempo della storia, come se gli eventi, le morti che si susseguono, non fossero tanto rilevanti nel loro succedere quanto nelle conseguenze che innescano, come moti e reazioni propri, nei personaggi)

Al centro di questo intersecarsi di traiettorie è la relazione tra i gemelli, l’esistenza dell’uno a rendere impossibile la definizione dell’identità dell’altro:

Ernesto e Elia giocano e giocheranno a rimpiattino per tutta la vita, cacciandosi spasmodicamente via e altrettanto spasmodicamente cercando un qualche modo di toccarsi. Hanno cominciato fin da piccoli, a seguito di quella spinosa frase – «Bada a tuo fratello» – conficcata come una lama nella libertà dell’uno, nell’indipendenza dell’altro.

È ancora una volta una metafora architettonica  a palesare questa impossibilità a stabilire confini netti: Elia e Ernesto, gemello sano e gemello malato, siedono nel chiaroscuro di luce e ombra dei riquadri proiettati sul pavimento dalla finestra della stanza gialla, nello studio della nonna, il giorno della festa:

Le figure geometriche sono tranquillizzanti. Sono doppie, e cambiano insieme, ma restano separate. Non tendono a confondersi, c’è l’intelaiatura della finestra, a impedirlo. E se l’intelaiatura si rompesse? Se uno dei due corpi, delle due ante, per un qualsiasi incidente o difetto di fabbricazione si ritrovasse con una stecca rotta, o spaiata, o semplicemente una stecca in meno, o in più, rispetto all’altra? Allora i rettangoli di vetro smerigliato non sarebbero più pari, né uguali. Con un vetro in meno, o con un vetro più grande, potrebbero le due ante cessare di essere corpi separati ma simmetrici? Forse sì. Forse cesserebbero di proiettare luci in crescita e in modificazione parallela, seppure indipendente, sul mondo. […] Forse diventerebbero le due metà, mescolate e asimmetriche, di una portafinestra che non si può aggiustare (per colpa della menomazione dell’una; per colpa dell’elefantiasi dell’altra). Tra due incompletezze non esiste metro di normalità, il meno e il più sono entrambe condizioni di difetto, impediscono il realizzarsi della simmetria che consente l’unione nella separatezza. E cosa avverrebbe delle luci che attraversassero i riquadri di vetro smerigliato di queste ante asimmetriche, impossibilitate a rispecchiarsi nel corpo una dell’altra?

L’archetipo dei gemelli diventa l’emblema perfetto di questa individualità mutilata e, con il loro esistere in eccesso, di individuo uno e bino, introducono un altro topos che riverbera in lungo e in largo nella trama, quello della hybris: “l’orgogliosa tracotanza che porta l’uomo a presumere della propria potenza e fortuna e a ribellarsi contro l’ordine costituito, sia divino che umano, immancabilmente seguita dalla vendetta o punizione divina” (Oxford Languages).

A una prima aggressione, quella inflitta a Ernesto alla nascita dal forcipe, quella che ha causato il danno, segue una seconda, lunghissima aggressione, quella di Sarabanda, determinata a strappare pezzi di normalità alla menomazione, ai limiti emotivi e fisici del figlio.

Nonna Ilide e Sarabanda, le due madri al centro della vicenda, sono i due poli del magnetismo che governa il muoversi delle maree tra i due gemelli, e di Ernesto in particolare: l’una immagine di accettazione e arrendevolezza al dettame superiore al volere umano (la menomazione alla nascita), l’altra di combattivo rifiuto della malattia e delle restrizioni da questa imposti (hybris). Un conflitto aspro che vedrà nei gemelli il proprio campo di battaglia, il quale, come ogni campo di battaglia, sarà disseminato di perdite

Dopo la fermata in biblioteca, dopo la nonna che scuote la testa, dopo la zia che abbassa gli occhi con aria compunta, la corsa di Elia si perde un po’ nel labirinto della grande casa. Non cerca più suo fratello, ma la madre. Cerca la dimenticanza, il perdersi nell’abbraccio materno. E non lo trova.

[…]

Le tragedie si costruiscono e si consumano così, con uno sguardo, una testa che si scuote, la frettolosità di un abbraccio equivocato. Gli uomini poi ci vanno costruendo incesti, parricidi, stragi, guerre, ma sbagliano misura. Non si capacitano del fatto che gesti così piccoli, sorrisi, soffi di vento, trascurabilità ai margini della coscienza, esplodano poi in albe a occhi sbarrati, tachicardie, fiato che manca, sere di lacrime improvvise apparentemente senza spiegazione, in tante devastazioni e grandi scoperte, in tutte quelle cose, insomma, che vanno sotto il nome di passioni. 

Come molti dei peccati di hybris in La casa delle madri (ogni personaggio sembra disporre del proprio), anche la superbia che porta all’organizzazione di una festa in tempo di lutto troverà la sua punizione

Nessuno dei due gemelli ricorderà il sapore della torta, né la sua consistenza o di che colore fosse l’interno, se c’era un poco di liquore, se panna o crema o cioccolato tra uno strato e l’altro di pan di Spagna. Resterà tutto annegato nel vomito azzurrissimo di Elia, in quei conati interminabili, infiniti, alla fine secchi, liquidi solo del liquido giallognolo e biliare di uno stomaco vuoto e contratto, che accompagneranno la processione funerea di invitati che cercheranno invano di salutare uno dei festeggiati, troppo sturbato per dare loro retta, ristabilendo così la gerarchia del lutto auspicata da Ilide e paventata da Sarabanda. 

A fare da palcoscenico alle vicende di questa famiglia dell’alta borghesia capitolina sono le protagoniste indiscusse dello Strega di quest’anno: le case. Quelle di Petruccioli sono case definite dalla provvisorietà. Riecheggiano delle impronte dei personaggi che hanno calcato i loro pavimenti e lasciato il segno del proprio passaggio, diventano memoria e rappresentazione della perdita di memoria, in un coesistere di presenti architettonici cronologicamente distanti tra loro che lascia il lettore spaesato davanti alla geografia della famiglia, come lo sono gli stessi personaggi che ritagliano il loro presente dal passato della casa, ignari della transitorietà delle loro azioni

Era grande, la cucina, un tempo. […] I ripiani di marmo di Carrara non c’erano più già da tanto tempo, cambiati a metà tra l’una e l’altra vita, tra l’una e l’altra morte, quando una delle madri aveva speso i primi soldi per un capriccio colorato. Anche questo capriccio è stato preso, spaccato e suddiviso. Giace smembrato in punti diversi di altre case, seguendo motivazioni di vendetta, di nostalgia. Ma, anche questo, è stato tanto tempo fa. 

Davvero un peccato vedere La casa delle madri fuori dalla finale dell’8 luglio, insomma. Petruccioli inanella una successione di istanti in modo pittorico, impressionista quasi, in un intricato ma accurato incastro di piani narrativi, e li punteggia di riflessioni esistenziali e di domande penetranti in grado di echeggiare nella testa del lettore ben oltre la chiusura del libro.

Anja Widmann

Vai alla tua libreria di fiducia o sul sito Bookdealer
Oppure compra su Amazon