Hai presente l’odore del bucato la domenica mattina? Gli schiamazzi in cortile dei bambini dopo il sonnellino estivo? La pelle ruvida sulle nocche delle mani della nonna?
Passano cinque, dieci, venti anni ma ti accorgi che i ricordi sbiaditi dal tempo, ormai invisibili agli occhi della mente, restano vividi e intatti dinanzi agli occhi del cuore. Ed ecco che una casa vuota e fredda riappare gremita e accogliente, le suppellettili riacquistano un colore, la polvere si trasforma in spirali di luce e tu hai la percezione di viaggiare indietro nel tempo.
Mi ha sempre affascinata come la memoria trovi rifugio negli oggetti, come questi ultimi ci restituiscano il passato, il ricordo unico di una persona cara, di un luogo, di tempi burrascosi e gioiosi. Da una prospettiva filologica, il filosofo Remo Bodei distingueva tra gli oggetti e le cose. Gli oggetti sono inerti, conservano un mero valore d’uso, laddove le cose diventano il riflesso dei nostri investimenti emotivi, il prolungamento della nostra interiorità, l’interruttore delle nostre emozioni e dei nostri sensi.
Questa riflessione è stata un po’ la mia chiave di lettura delle dieci storie contenute in Things remembered and things forgotten. Storie che raccontano, per l’appunto, di cose, non di oggetti. Raccontano di una memoria collettiva che si intreccia con le memorie individuali dei protagonisti. Raccontano di fantasmi che si materializzano nel mondo dei vivi e traghettano ricordi dal passato nel presente, raccontano di ricette, di case, di macchine da cucire che sopravvivono all’oblio, alla storia, alla morte.
Barcamenarsi tra le pagine di ogni storia è un po’ come varcare in punta di piedi il torii, un portale che ti separa dal mondo materiale e ti immette in una dimensione sacra. Il lettore accede ammaliato ma lentamente, portandosi dietro un timore reverenziale.
Anche se lo stile elegante, delicato e immaginifico di Nakajima trova la sua massima espressione nella storia conclusiva “The Last Obon” (L’ultimo Obon, festività tradizionale giapponese dedicata agli spiriti dei propri antenati), che racconta di una famiglia intenta a celebrare la festività annuale nella vecchia casa della madre defunta, in un’atmosfera in bilico tra il reale e il soprannaturale, tutte le storie sono permeate da amnesie individuali sintomatiche di un silenzio collettivo in un Giappone del dopoguerra. Bombardamenti, edifici distrutti e spiriti vaganti di orfani di guerra, che fanno da sfondo alla narrazione, sono un chiaro riferimento storico e simboleggiano l’elaborazione della perdita e l’impatto del lutto sulla memoria socio-culturale.
È in questo mondo che naufraga nell’oblio che le cose diventano boe di salvataggio, si animano fino a delineare i legami umani e a rivelare segreti importanti. Nelle due storie commoventi, “When my wife was a Shiitake” (Quando mia moglie era uno Shiitake) e “The life story of a Sewing Machine” (La storia di una macchina da cucire), i veri protagonisti sono rispettivamente un diario di ricette e una macchina da cucire.
Nella prima, Taihei è un vedovo che s’imbatte nel quaderno di ricette della moglie, scoprendo che la donna era solita annotare su di esso pensieri e stati d’animo.
Today my husband brought someone home with
him again. He’s proud of my cooking. And I am
quite a cook. But what comes of him being proud
of that?
Il diario si trasforma da oggetto in cosa, si carica di un significato più profondo, rappresenta quel lato della moglie che ora Taihei rimpiange di non aver conosciuto.
My favourite time is when I cook for myself, the
way I please. Cooking for my family is a bit of a
chore, to tell the truth. And it’s even worse when
my husband brings home work colleagues, because
I’m so nervous I can’t enjoy it at all.
Nella seconda, si ripercorre la vita di una macchina da cucire “senza cuore” custodita in un negozio di antiquariato e risalente al XX secolo. In una cornice narrativa, si racconta di come questa macchina sia stata utilizzata per realizzare vestiti durante la guerra e di come abbia offerto una via d’uscita dalla povertà a una madre e a sua figlia. In un finale a sorpresa e intriso di commozione, si scoprirà il motivo per il quale alla macchina da cucire manchi il “cuore”.
When the woman was still alive she had told her daughter
“When I die put that old sewing machine in my grave with
my ashes, will you? It made it possible for me to raise you.
In the end the daughter removed the shuttle containing
the shuttle hook and the bobbin case and put it into the urn
with her mother’s ashes. That’s why the 100-30 no longer had a heart.
La rievocazione del passato che attraversa tutte le storie, lo stile calibrato e la meticolosità descrittiva di Nakajima ricordano l’andamento equilibrato ma potente della prosa di Kazuo Ishiguro. Coerenza narrativa ed effetti sorpresa si sposano perfettamente in una raccolta che ci guida abilmente nella comprensione della memoria e delle sue molteplici sfaccettature.
Claudia Melcarne
E tu cosa ne pensi?