“Prima di entrare a La Nuova Frontiera, in Archivio dei bambini perduti di Valeria Luiselli avevo letto: “Ho un caro amico il cui padre ha lavorato infelicemente in una grande azienda fino a settant’anni e aveva messo da parte abbastanza per avviare una sua attività, seguendo la sua vera passione. Aprì una casa editrice, La Nuova Frontiera, che realizzò migliaia di stupende carte nautiche, pensate su misura con cura e amore per le navi che solcavano il Mediterraneo. Ma sei mesi dopo aver aperto la sua attività, venne inventato il GPS”. Ho chiesto poi all’editore se fosse vero. Pare di sì, ho anche visto quelle carte. Sulla storia del GPS però conservo i miei dubbi…”. Gianluca Cataldo racconta così il suo approccio con la casa editrice “La Nuova Frontiera” che dal 2002, anno in cui è nata, ha fatto scoprire ai lettori, e in alcuni casi riscoprire, autori e autrici di lingua spagnola e portoghese rimasti ai margini del panorama editoriale italiano (è il caso di capolavori sepolti come Il deserto di Baron Biza e autrici come, per l’appunto, Valeria Luiselli) prima di aprirsi a nuove lingue. “E di recente, alle collane storiche Il Basilisco e Liberamente, classici contemporanei e narrativa contemporanea, abbiamo affiancato una nuova collana: La frontiera selvaggia. Senza dimenticare il corposo e ramificato catalogo Junior”, aggiunge Cataldo che cura l’ufficio stampa della casa editrice. Completano l’organigramma Lorenzo Ribaldi (direttore editoriale), Marta Corsi (editor del catalogo junior), Marta Silvetti (redazione e social media) Flavio Dionisi (grafico) e Anna Krachmanlicoff (amministrazione).

C’è un libro, un’opera, un’intuizione particolare che ha segnato in qualche modo il percorso del vostro progetto, facendovi capire che eravate sulla strada giusta?

Credo che l’accoglienza dei lettori, della critica e della stampa che hanno avuto autori e autrici come Mercè Rodoreda, Juan José Saer, Sandra Cisneros, e da ultimo Valeria Luiselli e Guadalupe Nettel ci abbia di volta in volta aiutato a capire che la strada, sempre in salita – e per noi l’unica – può essere anche quella giusta.

Qual è l’elemento distintivo della vostra casa editrice?

È quello che ci accomuna anche a tanti altri editori di proposta: una faticosa e costante ricerca, e il rifiuto cocciuto di ogni stereotipo letterario.

L’editoria è da tempo in affanno. Cosa vi spinge a investire in questo settore e, soprattutto, come si fa a resistere, a restare comunque a galla?

L’impressione è sicuramente quella di essere accerchiati da gente che scrive, ma non saprei dire quanto quest’impressione sia determinata dal fatto che tendiamo a vivere in una bolla, nella nostra bolla autoreferenziale. Fuori dalla nostra bolla, sono molti di più i non scriventi. Spesso poi – spesso si spera – la vocazione alla scrittura coincide con una vocazione alla lettura. E, di nuovo, fuori dal nostro piccolo universo ci sono i non lettori. Mentirei se dicessi che si continua a investire in editoria per fermare l’inesorabile calo dei lettori o per invertire la tendenza. È già sufficiente, ogni tanto, riuscire a creare qualche connessione in questo multiverso.

Come scegliete e selezionate i vostri autori inediti?

Come compare nella biografia sul nostro sito, a muoverci è un criterio di affinità di stili e temi cercando, soprattutto oggi, di andare oltre i confini linguistici pur garantendo una certa uniformità al progetto.

Cosa vuol dire essere un editore indipendente e cosa pensate dell’editoria a pagamento. Con il tempo può diventare un “male necessario”?

Da ex libraio, credo che sull’idea di indipendenza sarebbe necessario aprire una discussione che consideri molti più aspetti della filiera. Quanto all’editoria a pagamento – che sia per pubblicare o per lavorare in casa editrice – penso sia un male e basta.

Chi vincerà il duello infinito tra carta e digitale?

Sono convinto che si troverà il modo di convivere, e in parte sta già avvenendo. Dopo un prima, e irruenta, crescita del mercato del libro digitale, la proporzione tra i due si è stabilizzata. 15% ebook, resto cartaceo. Negli USA, dove era arrivato oltre il 30% del mercato, l’ebook è poi tornato indietro.

Le librerie sono piene di libri che nessuno comprerà, magari anche perché se ne ignora l’esistenza. La Nuova Frontiera come promuove la sua attività e i libri dei suoi autori?

Già, le librerie sono subissate di novità, la vita media di un libro a scaffale è davvero breve, senza fine – ma in balia degli algoritmi e sperso –  nei negozi online. Dando per scontata la bontà del libro, le variabili sono così tante (stampa, rapporti con i librai, con i promotori, eventi, fiere, social, passaparola, premi, grafica) che l’unica cosa che puoi fare è non trascurarne nessuna e sperare nell’alchimia.

Cosa c’è nel futuro prossimo de La Nuova Frontiera. A quali progetti state lavorando?

Da pochissimo è nata La frontiera selvaggia, che nel suo primo titolo trova quasi un manifesto: Una passeggiata d’inverno di Thoreau. Il grande tema degli anni a venire sarà il rapporto che la specie umana ha con il mondo che la circonda e la ospita, ne siamo convinti, e però vogliamo entrare nel dibattito a modo nostro, con una collana che accoglierà testi molto differenti tra loro, di fiction e non fiction, dalla diaristica alla saggistica al romanzo dei grandi spazi nordamericano, come dimostra la seconda uscita della collana, ovvero Un piede in paradiso di Ron Rash, che si chiude con tonnellate d’acqua che sommergono tutto, l’intera vallata e la verità riguardo alla scomparsa di un uomo.

Intervista a cura di Marco Grasso