Alla cena del trentennale del diploma liceale, il mio amico Sasà, che non vedevo dai tempi della scuola, mi ha chiesto: «Come scegli i libri che leggi?
Tra le infinite e possibili domande che si potrebbero fare a chi non si vede da trent’anni, Sasà mi domanda come scelgo i libri che leggo.
Interessante: sa che ancora amo leggere, nonostante la vita; non dubita che io scelga i libri che leggo.
Gli amici sanno riprendere la conversazione da dove si era interrotta.
Nel rispondergli però, non sono stata all’altezza della conversazione. Credo di avergli risposto in modo vago, anzi forse ho cambiato argomento.
La verità è che questo tipo di domande mi spiazzano e mi mettono in difficoltà, come quando mi chiedono qual è il tuo uomo ideale, il tuo piatto preferito, il tuo libro preferito o che musica ascolti?
Non ho in mente nessun uomo ideale, nessun piatto preferito, libro o musica, i gusti cambiano a seconda del tempo della vita, rispondo. Di solito i miei interlocutori ci restano male, pensano che non voglia conversare.
A Sasà però oggi potrei rispondere in maniera più soddisfacente, almeno per quanto riguarda come scelgo i libri da leggere. Per esempio potrei dire che sono i libri che scelgono me.
Un po’ presuntuosa come risposta, me ne rendo conto, ma è quello che sempre più spesso mi succede, specialmente quando decido di interrompere l’alienante catena di doveri quotidiani a cui la vita mi obbliga; quando decido di chiudere il computer e uscire di casa oppure quando opto per una passeggiata invece che guidare.
Lo so, anche questa è grossa, una menata da boomer. Provare per credere.
Nella vita prima della cyber lettura, quando volevo leggere, andavo in libreria, giravo tra gli scaffali e succedeva sempre che un libro mi chiamasse. Ho conosciuto così I newyorkesi di Cathleen Shine, Everyman di Philip Roth, La nascita del Purgatorio di Jacques Le Goff e tanti altri.
Nell’età matura e in epoca di cyber dipendenza, seguo blog, rubriche su giornali on line ed exlibris20 naturalmente. Scelgo e ordino libri dal web e addirittura leggo sul Kindle con grande piacere da presbite.
In libreria, lo confesso, non ci metto più piede, ohimè.
Ciononostante, i libri trovano il modo di venire a me in carne e ossa.

Da quando due buontemponi lungo il Po mi sfidarono a leggere George Elliot, ci son state altre curiose circostanze in cui i libri mi hanno cercata o sono venuti da me.
Per esempio, quando, preoccupata perché non vedevo più in giro la mia vicina del primo piano, le ho bussato alla porta. Mi ha aperto dopo un po’, più magra e smunta di come la ricordavo, seguita da un bidone su rotelle, a cui era legata dalle narici con un tubicino trasparente.
«Passo le mie giornate a leggere, mi ha detto. Anche le nottate, veramente. Hai dei libri da darmi? Leggo di tutto e sono veloce, in un giorno ne leggo tre. Te li restituisco subito».
E così ci vediamo ogni sabato pomeriggio, le porto libri e lei ci tiene a darmene di suoi. I libri di Silvana, così si chiama la mia vicina, sono venuti da me, non cercati, come i sogni e i respiri.
Ci sono poi i libri dei viaggi.

La scorsa estate all’aeroporto di Toronto la fila per il check in di imbarco era lunga, l’aereo in ritardo. Una donna mi rivolge la parola, vedendomi seccata: «È così ormai da dopo la pandemia», mi dice, «le compagnie aeree hanno licenziato il personale, assumono ragazzini con contratti brevi». In effetti in tre si affannano dietro il monitor della postazione per capire come funziona il programma. «Speriamo che il pilota non sia un ragazzino», dico, scherzando. In poche battute ci siamo raccontate la nostra vita di donne, degli ex mariti e compagni. Un violinista l’ultimo suo, che non apprezzava le fiabe della buona notte. Ridiamo. Lei è Marika, sta andando a Milano, dove vive sua figlia, ma poi a Firenze per un corso di Italiano, poi di nuovo a Milano per la presentazione di un suo libro, argomento su cui sorvola. Arrivato il nostro turno alle postazioni per l’imbarco, ci separiamo, ma prima lei strappa un pezzo di carta da una busta che ha in borsa, ci scrive in gran fretta il suo nome, cognome e indirizzo mail.  «Scriviamoci», mi dice. Ci abbracciamo, separate dalla destinazione dei posti sull’aereo. Una rapida ricerca su Google mi dice che Marika Arban è autrice di un libro, pubblicato in Italia che si intitola Vita in dieci capitoli. Leggendolo, scopro che lei non è italo canadese, come avevo creduto, ma che viene da una famiglia ebrea della Cecoslovacchia degli anni Sessanta, ha vissuto la Primavera di Praga da studentessa, è stata perseguitata, come suo padre, dal regime comunista, da cui è fuggita, attraversando l’Italia. Per questo parla italiano. Quel libro voleva proprio farsi leggere, se mi ha trovata a diecimila chilometri da casa.
In valigia già portavo altri due libri non cercati, dono di mio cugino Sam, Young Castro di Jonathan M. Hansen e The age of insecurity di Astra Taylor, che mi hanno rivelato pezzi di storia del mondo e un’analisi accurata delle cause della nostra insicurezza, confezionata con cura da chi ne trae vantaggio.
Qualche mese prima mi era capitato a Barcellona, girando con l’amica Sonia per la Gracia, di incappare nella libreria italiana. La locandina sulla vetrina diceva che proprio quella sera sarebbe stato presentato un romanzo dal titolo che incuriosiva: Il ragazzo che sparò a Mussolini di Andrea Prandstraller. Eccolo, un altro libro che mi chiamava.
L’ultimo libro mi ha letteralmente chiamato al telefono.
«Ciao Maria Antonietta, come stai? Ti ricordi me?»
La voce era quella dell’autore, Giancarlo Visitilli. Dopo una settimana, nella buca delle lettere eccolo lì, Dell’amore e altre storie, più esigente degli altri, perché non mi chiedeva solo di essere letto, ma anche di essere presentato al prossimo Salone del libro.

Anche a voi è capitato qualcosa di simile? Se sì, raccontateci del come e del quando.
Altrimenti vi sfido semplicemente a rispondere alla domanda di Sasà: come scegliete i libri da leggere?

Maria Antonietta Nigro