IL GIORNO
Il giorno dopo giorno. io t’assillo, ti fisso, ti depredo.
… ti guardo da sparviero che discerne il brio
perché non sfugga ignavo al senno mio.
… E riverito mio malgrado ti guardo ancora
come irripetibile acino
… d’un grappolo troppo scarno.

BALCHINO
ricordi struggenti d’un pane duro e tenero,
strade impervie bruciate dal sole,
mandorli ovunque anzi la cima:
l’aia… e Gino che girava in tondo
a briciolar le spighe d’oro;
il tridente, la pala, il vento che non menava.
l’inesorabile formica che portava via il suo grano:
e noi li tutt’intorno
che si prendeva il sacco, o il laccio o il tumulo
mentre il cuculo iniziava il verso…
«Spicciati che si fa scuru!»
e poi la serenata delle sonaglie ai muli,
la cadenza in coro degli zoccoli
nella «salita del Piano»
e sempre un canto popolare che univa i carri.
Questo era Balchino: un pizzico di cuore
e un briciolo di storia… che non tornano più.

La poesia di Michele Salafia svela l’incanto delle cose. È proprio quel sentimento di stupore o di meraviglia che il poeta siciliano avverte per le piccole e grandi magie della vita quotidiana, e che definisce L’incanto, – a dare il titolo alla raccolta di versi pubblicata, tre anni fa (nel 1997, ndr), dalla casa editrice Libroitaliano. Si tratta di poesie che ripercorrono le tappe salienti della vita dell’autore, comunque legate ad attimi particolari, intime sensazioni, abilmente colte e sublimate nella delicata musicalità dei versi. Lo stile vagamente classico e insieme ermetico della poesia di Salafia, si affianca a tematiche prepotentemente attuali, come i miracoli dell’ingegneria genetica o il rapido avanzare del progresso, che rivelano la segreta, ma accesa speranza di poter esorcizzare o, magari, vincere, un giorno, il dolore, la malattia, la morte. Non mancano, inoltre, i suggestivi viaggi nella memoria, in cui vicende e miserie di Sicilia si fissano in immagini di una nitidezza unica e straordinaria, come nella tenera e struggente «Balchino: un briciolo di storia e un pizzico di cuore che non tornano più». O i versi dove le stragi e gli efferati delitti che hanno, per anni, insanguinato le coscienze, si mutano in accorato pianto dell’anima: vedi Capaci o Mafia Anatema Nostro. L’incanto, che come abbiamo detto, fornisce il titolo alla raccolta, diviene così doloroso disincanto e, talvolta, lacerante conflitto esistenziale tra il desiderio di possedere una Fede viva e le titubanze generate dall’umana ragione. «I versi – come sottolineato nella prefazione del libro – affiorano dalla pagina simili a folgorazioni istantanee, pervase più da un’ansia di risoluzione, come se il poeta, attraverso la sua tensione emotiva, realizzasse nuclei di certezze incontrovertibili». Il Tempo è un altro dei temi ricorrenti nella poetica di Salafia. «Questo grande nemico che l’autore non sa fronteggiare» e che scorre inesorabile tra i nostri anni, per condurci all’appuntamento più temuto della vita: quello con la morte, percepita come un evento inaccettabile per un essere intelligente che «pensa», «impara», «ama». «Ad accorgerci di vivere», dunque, esortano i versi di Salafia, «per far sì che nulla passi inosservato, distrattamente, nel rischio di ritrovarci ‘smunti’ senza aver realizzato i giorni andati».

Rosalba Mancuso

Michele Salafia nasce a Grammichele nel 1950, dove vive tuttora con la moglie e i tre figli. All’impegno poetico affianca quello ufficiale di tecnico di laboratorio dell’Istituto Agrario di Caltagirone. Nel 1997 pubblica per Libroitaliano la sua prima raccolta.