“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.
Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita.”

Vladimir Nabokov scriveva uno dei migliori incipit di sempre nel suo celebre romanzo, Lolita. Un romanzo che sarebbe rimasto nella storia della letteratura mondiale, non solo per il suo argomento controverso, ma soprattutto per il suo stile narrativo che ha segnato un punto di svolta nella scrittura del ‘900.

Lolita è il racconto di una storia d’amore, di una passione travolgente che corrode le viscere e i lombi dell’animo umano sino a consumarlo del tutto. Una passione, però, distorta di un uomo adulto per una ragazzina.
Per quanto la storia sia delicata e complessa e tocchi un tema così spinoso, Nabokov grazie alla sua eleganza formale non è mai andato oltre, non ha mai sporcato le sue pagine. Il perverso è fuori portata.

Quello che c’è in Lolita, nel professor Humber Humbert, è una costante lotta per questo ambiguo e pericoloso amore.

La storia di Humbert Humbert narra la vita di uomo tormentato, di un uomo colto, intelligente, che ha perduto da ragazzo il suo amore fanciullesco e da allora conserva questa segreta e malsana passione per le ninfette, ragazzine non ancora donne, un po’ promiscue. Humbert ci racconta la sua storia e cerca in tutti i modi di risultarci simpatico. Le sue giustificazioni devono sembrarci plausibili, così come il forte sentimento per la sua figliastra. Alle volte ci è quasi vicino ma poi ricadiamo, e perdiamo la nostra empatia.
In questo gioco è bravo Nabokov così come lo è Lyne, il regista della Lolita cinematografica.

Due pellicole sono state tratte dal capolavoro di Nabokov, una è di Stanley Kubrick del 1962, l’altra appunto di Adrian Lyne del 1997. Se lo scrittore rimase deluso dalla pellicola di Kubrick, che girò una minima parte della sceneggiatura che Nabokov stesso aveva scritto, il figlio Dmitri non si è dichiarato tale riguardo al remake. “La Lolita di Lyne tende a lasciare la fantasia dello spettatore libera di provvedere a se stessa, così come la prosa di Nabokov ha fatto per il lettore… L’ultima Lolita è splendida”, ha dichiarato.

Jeremy Irons ricostruisce un perfetto Humbert, con le sue insicurezze, inquietudini, le sue paure, i suoi sogni infranti. Humbert è un uomo rimasto bloccato nella sua infanzia, la sua intelligenza emotiva è stata congelata dalla perdita e dalla disperazione. Non riesce a comportarsi da adulto, ma indugia sulle piccolezze di un adolescente, sugli scherzetti, le gelosie, le ripicche. È allo stesso livello emozionale di Lolita, piccola ragazza, costretta a crescere prima del tempo.

Trailer originale del fim “Lolita” (1997) di Adrian Lyne

Abbandonata a se stessa, Dolores è una dodicenne con una madre sconsiderata, effimera, e talmente cieca da non accorgersi della passione segreta che il suo futuro marito cova per sua figlia.

Nabokov tratteggia dei personaggi sfaccettati e complessi, ancora oggi splendidamente attuali. La prosa ha un ritmo e un respiro di una forza abbagliante. Nabokov è lo scrittore per eccellenza, le parole sono magma tra le sue mani, vengono plasmate a suo piacimento per creare il suo mondo letterario.

La crescita interiore, la passione ambigua e travolgente, corrodente, il viaggio, l’avventura, il tormento umano, sono tutti argomenti che impregnano le pagine di Lolita. E la sceneggiatura di Stephen Schiff riprende con cura i particolari della storia di Dolores e Humbert, della decadenza di una bambina e di un uomo. La pedofilia è uno degli argomenti, ma non l’argomento principale del romanzo. Nabokov ha una potenza letteraria, una forza romanzesca incredibile. Le parole grondano di tormento e passione.

Dominique Swain porta sullo schermo una Lolita perfetta. Capricciosa, ammiccante, spudorata, provocatrice, ma allo stesso tempo fragile, insicura, triste. Una ragazzina che si ritrova a perdere sua madre e a dover girare l’America con un padre che la ama diversamente.

Lolita è segnata fin dall’inizio. La sua nuova vita da adulta porterà con sé i segni della sua infanzia distrutta da una relazione malsana. Ma a differenza del film, nel quale visivamente, gli attori ci appaiono e ci ricordano la differenza d’età, nel romanzo, Nabokov è sottile, alle volte, nel farci dimenticare che si tratta di una passione tra un uomo e una bambina. La sofferenza che permea i capitoli è palpabile così come la passione ardente, l’amore sconfinato e bruciante, una devozione totale e assoluta che porterà lo stesso Humbert a commettere un gesto eclatante di vendetta.

Il romanzo rimane e rimarrà sempre una pietra miliare della letteratura. Nabokov è un maestro della prosa e della narrativa, e non può essere sostituito. La sua sottile ironia, il suo stile, la gestione della voce, dei personaggi, delle parole, un gioco in cui gli elementi sono incastrati alla perfezione. Ma la pellicola di Lyne è una valida possibilità per conoscere, anche per la prima volta, la storia della nostra Lolita. Cast, regia, e sceneggiatura rendono il film un piccolo capolavoro poetico.

La controversa Lolita riesce a lasciare il segno nell’animo del lettore, a commuoverlo, lacerarlo, a farlo combattere tra pregiudizi e amore, tra ciò che è giusto e sbagliato per la società. Smuove domande, pianta un vuoto che fa riflettere.

La guardai. La guardai. Ed ebbi la consapevolezza, chiara come quella di dover morire, di amarla più di qualsiasi cosa avessi mai visto o potuto immaginare. Di lei restava soltanto l’eco di foglie morte della ninfetta che avevo conosciuto. Ma io l’amavo, questa Lolita pallida e contaminata, gravida del figlio di un altro. Poteva anche sbiadire e avvizzire, non mi importava. Anche così sarei impazzito di tenerezza alla sola vista del suo caro viso.

Ilaria Amoruso

Titoli di testa di “Lolita” (1962) di Stanley Kubrick