La letteratura di Lorenzo Viani, scrittore, incisore, e pittore, nato a Viareggio nel 1882, appare come una collina sterposa, solcata da crepacci sulle cui pareti scorre uno stato d’animo lucido e cupo, che può essere acqua e veleno allo stesso tempo.
Viani proviene dalla pittura, un’arte che è tutta evidenza e riesce a far zampillare la poesia avvalendosi di accordi e giochi di contrasti di cromatismi e forme, senza preoccuparsi della psicologia e dell’analisi se non plasticamente.
Lo scrittore toscano è riuscito a trasferire nella scrittura le medesime esigenze che sono alla base della pittura: la rappresentazione dei sentimenti nella concretezza delle figurazioni. Per suggerire lo stato d’animo di un personaggio, Viani non lo descrive analiticamente, ma lo coglie in un tratto sintetico, attraverso una battuta di dialogo o un gesto significante e riassuntivo.
Non commenta né illustra, Viani; rappresenta e magari, qualore sia necessario, fa concorrere il paesaggio con i suoi chiaroscuri colti in un attimo, alla sua rappresentazione. Tale approccio alla scrittura, fa di Lorenzo Viani un artista istintivo, che scrive di getto, uno di quegli artisti per cui le cose valgono, nel senso che hanno un peso, un colore.
Fra tanti regolari, Viani è passato alla storia della letteratura italiana, come uno scrittore eccentrico, e se il centro è quello in cui si trova lo scrittore analitico o colui che tratta temi “regolari” (oggi si potrebbe dire, temi che vanno di moda, che assecondano lo spirito dei tempi), certamente Viani risulta più che eccentrico e probabilmente se si ragiona in questo modo in relazione all’arte dello scrivere, tutti gli scrittori possono essere eccentrici, in quanto fanno centro a sé.
La carriera di Viani comincia con la biografia del poeta apuano Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, alla quale seguono Giovannin senza paura, delizioso racconto di cui pochi, all’epoca, si accorsero e una galleria di tipi e di caratteridella sua gente come Ubriachi, dove Viani racconta di popolani, gente di campagna, vagabondi, pescatori, gente di tutti i mestieri e senza mestiere.
Nel 1926 esce Parigi, in cui la capitale francese viene presentata come una macabra acquaforte di miserie, burle e tetro splendore. Da questo momento per la critica italiana Lorenzo Viani è lo scrittore oscuro. Scrittore capace di superare a modo suo le difficoltà insite nei propri mezzi verbali, dando vita a pagine di rara bellezza e lampeggiante potenza.
Eccentrico dunque, ma perché lo scrittore nato a Viareggio e morto a Ostia nel 1936, non aveva frequentato le scuole, si è costruito da se, diventando un rapsodo popolare che ha maltrattato la lingua, ma non l’arte ed per questo motivo che Viani deve essere ricordato e studiato, nonché annoverato tra più interessanti scrittori italiani del Novecento.
Anche nell’opera I Vàgeri, Viani si compiace di curare di più i segni verbali, agli epiteti, alle parole del vernacoloro, alla frasi ardite che alla cosa, al fatto, cui conferire significato con tali strumenti.
I Vàgeri, che potrebbero, senza rischiare di essere tacciati di lesa maestà, essere degni compagni di Gente di Dublino di Joyce, e che l’autore stesso definisce gente della sua esperienza, materia viva tra le sue mani, gente d’onore e di rispetto, sono sepre vagabondi, fabbri, donne di facili costumi. Un microcosmo indebolito dalla miseria, e rallegrato dal vino, da un po’ d’amore e da una schiva pietà che l’autore gli riserva, sentondosi uno di loro.
Il tratto più intimo di Viani infatti è proprio la sua dolorosa compassione nei confronti delle sue creature. Questo stato d’animo è costante in tutte le novelle presenti in quest’opera e costituisce la sua vera unità.
Aspro, rigoroso, sobrio, ruvido, essenziale ed incisivo, lo stile di Lorenzo Viani è ricco di scorsi, paesaggi foschi, cieli minacciosi e sconvolti; senza perdersi in indugi e dettagli, le opere di Viano scorrono veloci tra le dita del lettore.
Anna Lina Grasso
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