È poesia breve quella di Loriana d’Ari, autrice ligure che esordisce con «silenzio, soglia d’acqua» con prefazione di Mario Famularo per la marchigiana Arcipelago Itaca. Poesia minuta, certamente, poco avvezza ai prolungamenti, agli slanci narrativi o retorici, completamente priva di scatti repentini, anzi a dirla tutta sembra che si nutra di lunghe ponderazioni e che intessa relazioni prolungate tra oggetto e verbo, pur realizzandosi in una manciata di versi.

canto il silenzio d’edera preghiera
spira dentata d’artiglio che affonda
sbalza la mappa, l’intaglio preciso
su questo corpo di scogliera franta
un ribollire ai bordi, una scampata
emorragia: tocca là dove brucia
non chiarire, non dire

La lirica d’apertura, tra le più significative della raccolta, lascia emergere due punti focali di una possibile poetica rintracciabile. Il primo risiede in un linguaggio frastagliato, ispido che tenta di armonizzarsi attraverso una ricerca sonora pacificante (preghiera-scoglierafranta-scampataemorragia, che precede il binomio chiarire-dire) dal vago sapore montaliano; il secondo sta nella componente dichiarativa, la rivelazione finale all’interno di quegli sprazzi di chiarezza nel “torbido” delle immagini.
È una poesia che sottende la difficoltà relazionale e si rivela nella pura figurazione, sia materiale che concettuale. Abbiamo una voce, quella poetica, elemento umano preponderante della relazione, ma la comunicazione sfocia in un’impossibilità della comprensione. Il toccare dove brucia sembra essere l’unica strada percorribile, pertanto ci si affida a un legame emozionale e, forse, successivamente alla potenza evocativa del ricordo. 
Loriana d’Ari ama dire innervando l’eloquio in altri “corpi”, attraverso oggetti, elementi della natura, concetti, nel solco di certa poesia simbolista ed ermetica. Rivolge la propria attenzione al silenzio che precede o consegue a una rottura. Sullo sfondo sembra apparire la volontà di intessere, colloquiare, risolvere, ma la contingenza si fa intrigata, inspiegabile e impossibile da scomporre: la ragione appare determinata da una visione olistica della scena, la quale una volta scomposta perde la propria capacità rivelatrice. Pertanto restano le forme e su queste pendono dubbi o appigli poetici.
Il mistero della parola si ammanta di interrogativi apparentemente statici, eppure al dire il vero spesso paiono rimodulati e riproposti anche inconsciamente con insospettato dinamismo. Caproni, non a caso un ligure d’adozione, amava far parlare le rime in una celebre quartina (Buttate pure via / ogni opera in versi o in prosa. / Nessuno è mai riuscito a dire / cos’è, nella sua essenza, una rosa.) per rafforzare il senso di inadeguatezza della parola. Analogamente Loriana d’Ari, focalizzandosi qui sull’umano, compie lo stesso tratto dell’indefinito, con una cifra completamente diversa, sicuramente più oscura, ma non per questo inavvicinabile:

il coleottero spicca iridescente
cielo di felce a spiovere l’ombra
del giaguaro che schianta le vertebre
a sera. mia foresta libertà oscena
chi può dire cosa è umano?

È poesia che non conosce intermezzi tra visione e ragionamento, tutto sembra confluire e parlare un unico linguaggio attraverso una lenta scarnificazione del pensiero. Una collisione gentile, dimessa, verrebbe in mente, seppure non del tutto arresa: dinanzi a questa incomunicabilità vi è sempre il desiderio di compenetrare. Tale volontà rende il passo della poesia ostinato, senza una ragione. Un vero e puro atto d’amore senza condizioni.

silenzio, soglia d’acqua
fiore che sanguina in bocca
aspra nei tagli la trama di
nude corolle, sillabe cave.
per ogni spina che raschia
la gola, qualcosa scollina
si stacca: fogliolina
che cavalca nel vento la caduta

L’incomunicabilità resta e non si risolve, probabilmente in questo tentativo di relazione nessun dilemma può essere sciolto. Eppure se una fogliolina inerme, ariosa in una manciata di versi lievi e sanguinolenti, si fa espressione di questa inadeguatezza il lettore ci si può riconoscere e magari avvertire una profonda empatia. Si utilizza l’altrove per poter meglio immaginare cosa ci sia dall’altra parte e in questa incursione il cammino di Loriana d’Ari sembra sincero; l’altrove è ciò che non si vede per questo parlarne diventa complesso, eppure quanta storia umana si basa sul mito, sulla religione, su ciò che non riusciamo a spiegare e al quale a una spiegazione si è voluti arrivare? La poetessa ligure pertanto ci riporta alla preclusione della narrazione, a quanto possa essere genuino e puro il nostro totale senso di smarrimento. Laddove svanisce la narrativa, proprio in quel punto sorge la poesia.

Federico Preziosi