Si parla spesso del “mestiere” dello scrittore. Credo che Fantasmi e fughe sia sostanzialmente un libro “di mestiere”. Nell’autunno del ’97, mentre mettevo insieme i pezzi del Male naturale (mio terzo e, spero tanto, ultimo libro di racconti), avevo un pensiero ricorrente: che ormai dovevo farla finita con quel modo di scrivere. Ebbi anche l’imprudenza di scriverlo, in un Finale aggiunto al libro pochi giorni prima di consegnarlo a Mondadori: «Credo che Il male naturale sarà il mio ultimo libro di racconti o almeno che, d’ora in poi, lo scrivere sarà per me una cosa completamente diversa. Avevo un paio di cose da dire e mi sembra di averle dette e ripetute».
A dire il vero, anche nel Male naturale c’era tutta una serie di esperimenti: un paio di racconti in versi, uno strano gioco sull’identità del narratore, e così via.
Ma: come si fa a diventare diversi da se stessi? Come si può abbandonare uno stile nel quale ci si è completamente identificati? (Soprattutto se si sa che la materia è, e probabilmente sarà, sempre la stessa).
Una via può essere quella del “mestiere”. Decidere quasi a freddo di fare un libro, usando il proprio stile per quel che è: un “attrezzo del mestiere”. Così decisi che avrei fatta una lunga gita a piedi e che ne avrei cavate delle storie. Nell’ottobre del ’97, senza spiegare il mio privato scopo, proposi la faccenda ai redattori di Stile Libero e loro dissero: «Sì, l’Italia vista dalla suola delle scarpe, potrebbe essere un buon libro». Concordammo otto milioni lordi di anticipo diritti.
La gita a piedi è durata in tutto quarantatré giorni. Poi ho passate un paio di settimane da amici (a Reggio Emilia ospite di Giuseppe Caliceti, a Fermo con la compagnia di Angelo Ferracuti). La gita si è interrotta per un paio di gite alimentari: sono tornato a casa (in treno) per scrivere un racconto sul tema dell’acqua (per un catalogo di abbigliamento e accessori da mare: un milione e 250 mila lordi) e sono andato a Roma (in treno) a guardare alcuni mosaici di Biagio Biagetti (mi era stato chiesto un pezzo per una mostra su cd-rom: 625 mila lorde).
Il libro (scritto in cinquanta giorni, ma con due pezzi in prosa e sette/ otto poesie “ricuperati”) è venuto com’è venuto. Un miscuglio di cronachette da questa gita a piedi, più alcune storie di altri viaggi (in corriera, in treno, in vespa o ancora a piedi). Mi sono permesso di fare esperimenti con stili che mi sono estranei: un capitolo è sfacciatamente à la Aldo Nove, un altro è in registro comico, due sono documentari, uno è una lettera (le lettere sono il mio forte), c’è una ventina di poesie che non si capisce se sono serie o sciocche. Per contro l’io che parla (che non sono io, ovviamente, anche se per praticità ha il mio nome) è apparentemente costante, varia invece la donna amata da quell’io: ci sono tre nomi diversi e sovrapposti (Benedetta, Letizia, Sandra) e questo dovrebbe creare una certa confusione. In un angolino compare anche Santiago: che già c’era in Super nivem, il racconto più lungo del Male naturale; e minaccia di tornare da protagonista in un romanzo che peraltro non sarò mai capace di finire, Introduzione ai comportamenti vili (centoventi pagine scritte finora, non lo tocco dal giugno ’98).
Potrei anche dire che ho vissuto Fantasmi e fughe come una specie di vacanza prima del libro successivo (che in realtà è stato cominciato prima di Fantasmi e fughe e finito più o meno mentre Fantasmi e fughe andava in libreria). Il libro successivo, cioè il prossimo libro che pubblicherò, s’intitola Il culto dei morti nell’Italia contemporanea ed è un poema di circa duemilaquattrocento versi.
Nel Culto dei morti c’è uno stile che non è il mio vecchio stile, ma è uno stile (anzi un gruppo di stili) nel quale oggi posso, di nuovo, riconoscermi totalmente (uscirà in primavera del 2000 per Einaudi; abbiamo concordato cinque milioni di anticipo diritti). L’ultima poesia di Fantasmi e fughe annuncia questo stile.
Personalmente sono abbastanza soddisfatto di Fantasmi e fughe. Più persone del solito mi scrivono dopo averlo letto. Sta vendendo benino. Sono diventato uno scrittore commerciale?
Oggi posso dire: lo scrivere è diventato per me qualcosa di completamente diverso. Esperimenti come Quello che ho da dirvi (il libro d’inchiesta sugli adolescenti che ho fatto con Giuseppe Caliceti, sempre per Stile Libero) e Fantasmi e fughe, o il lavoro fatto con Guido Solerti per pubblicare da Theoria Io avrei voluto essere come quel passero di Vittorio Bianchi (un ragazzo ospite della Comunità terapeutica residenziale protetta, ex Ospedale psichiatrico, di Padova) mi sono stati utili e forse erano necessari.
Mi è difficile pensare ai miei libri (anche a quelli di cui sono semplicemente il curatore o l’editore) come a “cose” distinte tra loro. Ad esempio: quando cominciai la mia gita a piedi avevo appena finito di curare, con Marina Bastianello, una raccolta di nuovi narratori intitolata: Viaggi con mezzi pubblici di trasporto (Il poligrafo).
Poiché il Culto dei morti è finito e consegnato, lavorerò (nell’estate del ’99) a un’altra raccolta a tema; e il tema è: Visibile/invisibile: storie di ordinaria spiritualità. Un’interessante coincidenza.
Grazie al cielo, non è scritto da nessun parte che io debba fare libri per il resto dei miei giorni.
Giulio Mozzi
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