Ci sono libri di poesie che invitano il lettore a osservare le cose da un’angolatura diversa per ricavarne qualcosa di insolito, forse un po’ bizzarro, eppure veritiero e probabilmente di qualche utilità per la vita. Uno di questi è proprio L’umanità gentile di Marko Miladinović, artista croato di nascita, ma ticinese di adozione.

A partire dal titolo emblematico dell’opera (pubblicata da Miraggi edizioni nel 2016) si può confermare con estrema fermezza questa attitudine che intende esplorare l’invisibile agli occhi dell’uomo attraverso la mediazione del poeta. Per capire cosa si intende è necessario partire dall’etimologia del termine “gentile”, questione che l’autore mette subito in chiaro riportando la definizione tratta dal Vocabolario etimologico di Ottorino Pianigiani, il quale recita: «proprio di qualche gente, che appartiene alla stessa gente o famiglia: e siccome in genti non erano divisi che i nobili cittadini romani (v. Gente), così la voce Gentile passò in processo di tempo al significato moderno di Civile, Cortese, Garbato, Sensibile, Delicato […]». Si potrebbe discutere a lungo su queste poche righe che, senza nemmeno entrare nel corpo poetico, rivelano subito l’ambizione di Marko Miladinović. Il poeta esplorerà questa “gentilezza” attraverso una verve non priva di provocazioni, non sense, giochi di parole e immagini particolari: insomma, va bene la poesia e la bellezza o la bruttezza che circonda il mondo, purché lasci delle tracce nell’immaginario di chi legge. Ad ogni modo “La dottrina della gentilezza”, contenuta a metà libro, appare piuttosto eloquente in questo senso: «Conosci le dottrine e prenditi cura dei tuoi vizi. Non essere mai fanatico, totalitario, monoteista, fascista o una nullità – meglio un buono a nulla a cui il nulla dia la sua bontà!».

Individuata una chiave di lettura che ci possa permettere di inquadrare l’opera, possiamo entrare maggiormente nei dettagli de L’umanità gentile con “Dolce vita”, testo che pone immediatamente la vita al centro di questo libro:

Al mondo vi sono cose, parole e versi
se il vento non sia cosa
nulla si vede
se la parola non sia soffio
nulla si muove
se il verso non sia corpo
nulla si ode
se io non fossi uomo
del mondo nulla più


Questa breve lirica, di per sé abbastanza rappresentativa, rispecchia il concetto del mondo dalla visuale relativa dell’uomo: il mondo è tale perché è l’uomo ad esserlo e tutto ciò che ruota attorno alla sua immagine è frutto degli occhi, delle parole, dell’udito e di tutti i sensi dell’essere umano. E ci sarebbe da chiedersi come sarebbe il mondo senza di noi. Chissà, forse meglio, forse peggio non è dato dirlo, ma in questa proprietà “gentile” e primigenia si scorge tutta la grandezza di uno sguardo profondo che coglie nell’effimero l’opportunità di vivere così come ci è dato, con semplicità e leggerezza se è possibile, facendo a meno delle perfezioni, abbracciando un fare più autentico, anche se un po’ sgraziato. Talvolta la parola gioca col concetto, volutamente si ingarbuglia e poi si ritrova in trame un po’ assurde, in certi frangenti addirittura grottesche, ma aleggia sempre quel senso di vivace sospensione che è sale della poesia di Miladinović, come in “Sopra tutto l’amore”:

I fiori appassiscano
per le belle che sono
tutte le donne
gli uomini colsero
che di bello rimase
fino a oggi il vaso

Ma passa un ladro
alla finestra e tanto brutta
non è la bruttezza
e tanto bella non può
essere la bellezza
che non porta con sé

È una poesia che recupera quell’estro un po’ ironico á la Palazzeschi, che gioca con ogni cosa e dà a vedere di non amare troppo il prendersi sul serio, sebbene i contenuti siano tutt’altro che frivoli: sono presenti temi come la morte, per esempio, dissacrata dal senno della posterità (ma a quali discendenti / vogliono far credere / che morirono per morte?), ma anche boutade sul potere (Chiese una pozzanghera / di non venire prosciugata / “Ci mancherebbe altro” / dissero i membri / che pisciarono ovunque / “Ricorda i tuoi doveri!”), ironiche e visionarie trame che narrano l’illusione delle promesse (libertà, libertà, olio fritto in padella / una lisca, libertà, ha punto l’ugola) e mettono in dubbio i principi della società odierna fondata su una parola slogan tanto efficace quanto labile (Tentiamo dirvi / queste parole sono strumenti / per costruire e togliere ponti).
Forse a volte il gioco poetico si inceppa, in certe occasioni appare addirittura un po’ acerbo e il senso sfugge dalle mani, eppure c’è in questa prova tutto il tentativo dell’estro che si ribella all’ordine costituito provando a tessere una propria sconsiderata armonia, laddove il flusso di coscienza non appaga, ma nemmeno la stasi di una prevedibile deduzione riesce a contenere questo gigantesco e complesso essere umano che fa delle imperfezioni, fin quando ci saranno, il proprio tratto distintivo. Per dirla con Palazzeschi: «Non è vero che non voglion dire, / vogliono dire qualcosa. / Voglion dire… / come quando uno si mette a cantare / senza saper le parole». Si fugge dalle regole per evitare rigidità, perché l’eccezione sa dire dell’uomo ben più dell’etichetta ed è a questo essere dentro ognuno di noi che Marko Miladinović sembra volersi rivolgere.

Federico Preziosi