La raccolta di racconti L’uovo di Barbablù di Margaret Atwood, edito da Racconti Edizioni nel 2020 con l’eccellente traduzione di Gaja Cenciarelli, è come un cestino di ciliegie mature dopo un lungo inverno. Un racconto tira l’altro e mette voglia di leggere il successivo. Sono tutti molto “gustosi” e da assaporare lentamente, con l’attenzione che merita la scrittura meravigliosa di quest’autrice, conosciuta per lo più grazie al suo romanzo Il racconto dell’ancella. Un vero peccato visto che è una raccontista straordinaria e sappiamo bene che non tutti i romanzieri in circolazione possono vantare questa duplice dote. Il racconto è una forma d’arte a parte con le sue regole, le sue tecniche e le sue difficoltà e non un sottoprodotto del romanzo come si è portati erroneamente a credere, e sapersi destreggiare in modo così perfetto in entrambe le strutture è da considerarsi – è proprio il caso di dirlo – da fuori classe. È quindi con estrema difficoltà che si riesce a smettere di assaporare i racconti della Atwood, a chiudere il libro e passare ad altro.
Il fil rouge che unisce i dodici racconti che compongono questa raccolta è da ritrovarsi nei personaggi principali. La Atwood da’ qui spazio e voce solo alle donne che portano, ognuna con la sua particolarità, con il suo modo di essere e di vivere, con le sue ossessioni, manie e punti di forza, a completare un discorso sul femminile molto ampio. Anche nell’unico racconto (“Scorfana”) in cui inizialmente la voce è quella di un uomo, il punto di vista viene a ribaltarsi completamente per mostrarci la personalità di Becky – ex moglie di un protagonista che diventa quindi solo un mezzo di trasporto per arrivare a lei – complessa, sfaccettata, complicata.
Le donne di Atwood sembrano a volte essere il suo alter ego come in “Momenti significativi nella vita di mia madre” e “Musica per dissotterramenti”. In altri racconti invece emerge quel distacco non scontato ma fondamentale per trattare temi banali e potenti allo stesso tempo come, per esempio, la fase di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, l’equilibrio precario del tenere insieme una famiglia, il tentativo di arginare un crollo emotivo e la rabbia, la rassegnazione e l’insistenza vuota di continuare a vivere con un marito traditore.
Il mondo in cui le protagoniste di Atwood cercano di barcamenarsi, che sia in campagna o in città, nelle grandi foreste del Canada o in una metropoli, è un mondo isterico, senza più una direzione. Le loro vite sembrano girare troppo spesso intorno agli uomini e alle relazioni più o meno difficili che provano a portare avanti con questi ultimi e ad emergere da questa situazione è un femminile stratificato, che Atwood sbuccia, foglia per foglia come una cipolla. Più ci addentriamo al cuore della personalità di Sally, Emma, Alma, Becky, Yvonne e di tutte le donne che fanno parte del mondo di Atwood e più, effettivamente, gli occhi si riempiono di lacrime.
Il racconto principale, a metà raccolta, è quello che da’ il titolo all’opera: L’uovo di barbablù. Sally è una donna borghese sposata a un bel medico che ogni giorno recita la sua parte di moglie perfetta in una famiglia perfetta senza sbavature, finendo per crederci. Finendo per credere che la mano di lui sul sedere di un’altra non è come sembra. È questo che ritroviamo nei racconti della Atwood: una calma apparente e una tempesta interiore dovuta a un mondo spiazzante. Sally riscriverà la storia di Barbablù – per completare l’esercizio richiesto dalla sua insegnante di scrittura creativa – dal punto di vista dell’uovo. Cambiare prospettiva ci aiuterà a cambiare il mondo secondo l’autrice? Forse no, ma di certo darà una mano ad accettarlo e cercare di viverlo un po’ meglio.
L’uovo, tra l’altro, è un oggetto per eccellenza delicato e precario ma carico di significato. Per tutti i personaggi della raccolta potrebbe rappresentare un simbolo di protezione da questo mondo complicato e dominante ma anche la fragilità e la caducità della vita. Tutto si può sgretolare da un momento all’altro, tutto può deteriorarsi irrimediabilmente ed è questo lo spirito che pervade ogni racconto della raccolta L’uovo di Barbablù.
Veronica Nucci
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