Arcipelago Itaca pubblica poesia, “setaccia” voci di impatto, ben rappresentative del qui e ora.

Mi trovo nelle mani tre volumetti, tutti della stessa collana, Mari interni, diretta da Danilo Mandolini:

Anna Maria Curci, Nei giorni per Versi
Marina Baldoni, Alogenuri d’argento
Michele Paoletti, Foglie Altrove

Sono tre linguaggi separati ciascuno alla propria dimensione, tre poeti che seguo da tempo, e il fatto di trovarli in questa stessa collana mi ha incoraggiato a fare un discorso con la loro parola in uno stesso spazio.

Il trade-union non è solo l’etichetta. C’è compostezza e composizione, fedeltà a se stessi e fede nella poesia, una focalizzazione e un fuoco creatore. Un verso vivo.

Anna Maria Curci, con centosettantatré quartine di endecasillabi costruisce il diario di cinque anni, è prefata da Patrizia Sardisco. In composti e sonori affondi, dal quotidiano allo straordinario,  tra veglia e sonno-sogno, rimembranza, inchino a bellezza e diversità di ogni giorno, traduzione in parola del “senso”. Il ritmo è sempre lieve.

LXXV
Come tenente Drogo dei refusi
presidio una fortezza smantellata.
Le orbite, un retino da farfalle
bucherellato, non acchiappa niente

CXIV
Non dismettere mai la tua eleganza.
Lampeggia tra fagotti ammonticchiati
tra sere perse e albe sperperate.
Ma non è a te che il grido si rivolge.

CXXI
Da queste scaturigini negate
riparto, padre, da lotte e silenzi
Lembo di lutto circonda le spalle.
Compianto, paradosso dello sprone.

CXXXV

Che ne sapevi tu, dei Procol Harum,
Quando lasciavi andare “Senza Luce”
su piccolo vinile a squarciagola?
Canto da allora e forse tu mi senti.

Marina Baldoni punta ai motori esistenziali, con squarci molto luminosi e contrasti cercati, forma di risalto. Pone velate domande, non enfatizza, spesso sfugge la gioia e si confonde col malessere, senza offuscare la genuina voglia di sorprendersi, allargarsi alla vita. Postfata da Umberto Piersanti.

Limiti

a calcolare bene
è zero la metà di due
nei miei pensieri  scantona
l’aritmetica
disputa coi numeri mandati a memoria
antiquati
perde il conto tra teorie d’incroci e
rette parallele
non si consacra all’uno
si arrende piuttosto
                             al cavo della crepa
al vuoto di ipsilon
per ics che tende a

annunciazione, olio su tela 1534 ca.

un fiato di garza immacolata
mi tocca e resta
/incide fino al petto/
da lì muto
fugge il grido
fugge il dolore
lo stupore fugge
e il rosso
che da allora tutta intera
ora m’indossa

passeggiarti a filo di labbra
vorrei
scantonare appena dalla via
conosciuta
lasciando minuscole orme ubriache
voci lontane
svecchiare

Nelle foglie di Michele Paoletti, opera prefata da Maria Grazia Calandrone, l’altrove è già qui in ogni conosciuto luogo e istante. Un iper-giocattolo il tempo, infanzia mai conclusa che si muove dentro a ogni adulto e lo rincorre, lo determina a continuare a cercare il proprio anelito tra negazioni e affermazioni, stupori fatti di momento sfilacciato, più piccolo e più grande di noi.

Di notte gli alberi respirano con noi,
conservano i gridi rapaci degli uccelli.
Nella rete dei rami stringono la luce
che si trattiene
poi precipita di colpo sulle cose
e benedice il loro solido respiro
con una mano immortale, spalancata

L’inverno irrigidisce le lenzuola
       mani bianche contro un bianco cielo
che conserva tutti i colori
nell’impasto delle nuvole
o forse nell’orizzonte accanto
per folgorarci tutti a primavera

Ci credi quando dico
che le parole avevano un odore
anche se non le capivo anche se
restavano appese, capovolte.
La lingua era quella della nuca
poggiata nel cavo della mano,
del pugno che scattava intorno al dito.
Non sapevi nulla e già mi conoscevi
per intero.

Anna Bertini