In un mondo poetico estremamente concentrato sugli esordi giovanili, dimentichiamo spesso che la poesia è un accadimento e che può bussare alla porta di ognuno di noi (autori e lettori) a qualunque età. Quello di cui ci occuperemo tra queste righe è l’esordio di un poeta nato nel 1965, anagraficamente non proprio di primo pelo, eppure giovanissimo in poesia, almeno restando in ambito editoriale. Oggi ti sono passato vicino è l’esordio in poesia di Tommaso Urselli, edito per i tipi di Ensemble e parte della collana “Alter”. Abbiamo a che fare con un’opera prima abbastanza agile, ma capace di abbracciare varie tematiche che qui, cercheremo di percorrere brevemente.

Si parte con la prima sezione, Oggi ti sono passato vicino, che dà il titolo al libro. Si tratta di versi che convivono con la scomparsa, nel caso specifico quella del padre dell’autore, il cui spirito viene continuamente invocato e rievocato nell’arco di tredici poesie. Lo stile di Urselli si presenta subito scarnificato da attimi memoriali, quasi tutti incentrati sul dato sensoriale, atto privilegiato del contatto con la figura genitoriale. Qui i versi presentano un passo incerto e smarrito evocando un forte senso di malinconica nella rielaborazione del lutto, eppure in questo procedere non si ravvisa una poesia dai toni nefasti: c’è qualcosa di sereno nell’aria, anche nella commozione, un’armonia che il poeta tenta di ricostruire nel ricordo. Non ci sono versi che si distinguono sugli altri, tutto appare come una fibra resistente di una memoria granitica e inalterabile. Urselli sembra dare il meglio di sé nell’attualizzazione dell’atto memoriale, eccone un piccolo esempio:

Giorno quattro

…nelle cose nei libri nei vestiti
e in questi versi, nel bianco
tra una parola e l’altra: da dove
il tuo sorriso suggerisce
dei versi e della misura.

Sono versi minutissimi, eppure custodiscono innumerevoli momenti che un lettore può facilmente prefigurare, specialmente se si ha avuto esperienza con la dipartita di una persona estremamente cara. Nella vita situazioni simili toccano a tutti, ma un poeta trova convincimento all’interno di un’espressione personale. Tommaso Urselli dispone a proprio vantaggio di poche, ma altrettanto nitide, immagini da offrire in questa sezione: un caos esistenziale sotteso, eppure non privo di consapevolezza. La voce poetica tenta sempre di guardare avanti alla ricerca di altri perni su cui fare leva.

Sebbene questa prima parte si possa ritenere quella maggiormente connotativa, la raccolta poetica, come scritto in apertura, presenta vari spunti tematici. Emerge una spiccata tendenza da parte dell’autore a misurarsi con il passato e con i miti. Le rielaborazioni vivono sempre di una parola prevalentemente sobria che non rinuncia alla forza del pensiero. Si potrebbe ritenere che Tommaso Urselli abbia un forte legame con le ere trascorse e che con esse si ponga in costante dialogo: da qui il retaggio culturale e la fascinazione filosofico-mitica prendono il volo con alcune liriche incisive, quali Dice Ipazia: («Di chi è la voce che dentro di me / ancora parla? / Chi sono io, chi siete voi: vivi che / vogliono diventare morti, morti / che vogliono diventare vivi?»), Eco, Labirinto, Minotauro I e II o Icaro caduto. Quest’ultima recita quanto segue:

È qua tra le costole che
mi spuntano germogli
mi crescono rami
s’intrecciano le vene e
diventano verdi le mie braccia
radici le mie ciglia
una chiesa la mia fronte
il petto un grande scoglio
i piedi fiumi abitati da mille pesci
e i miei occhi, cavi.

La relazione col passato è spesso tragica, ma in essa vige sempre un principio di continuità che permette alla vita di essere tale. Se l’esistenza di ogni essere umano genera altra vita, c’è qualcosa di rassicurante in questo restituire alla natura i fallimenti umani, nel rimettere nelle mani della terra, in una sapienza antica, ogni ambizione, ogni sogno che si fa faro dei giorni odierni nel proprio connotarsi come dato esperienziale e memoriale. Nell’accogliere ruderi e corpi nasce sempre qualcosa. Del resto la fine è solo un’interruzione umana, ma non segna il termine dell’intera umanità, la quale si trova a rivivere gli stessi errori figli delle medesime aspirazioni e ossessioni. Così la morte diventa interlocuzione della realtà, ossia approdo della conoscenza piena in un Olimpo di affetti e percorsi non del tutto compresi eppure in qualche modo rassicuranti, come nei pochi versi de I morti:

I morti, onde del mare
bianca spuma che a lungo ha viaggiato
e a casa ritorna,
alla madre infinita.

La dimensione dell’aldilà sembra essere quasi allusa anche nella dialettica che si istaura con gli oggetti, in particolare (oltre a quella iniziale) nelle sezioni La lingua delle cose e Il corpo città, ma forse in questi momenti prevale un taglio maggiormente ironico, più prossimo a un Palazzeschi. C’è sicuramente dell’estro teatrale in certi passaggi, la capacità di immedesimarsi nelle cose e nelle storie, eppure l’oggetto appare come un lascito, al pari della parola, da riutilizzare per potersi riconnettere ai momenti perduti. Non è un caso che sia il padre (un passato ineludibile) che i figli (il futuro) vengano fortemente identificati con gli oggetti e le situazioni. Sono queste vere e proprie dimore in cui le generazioni si avvicendano.

Quella di Tommaso Urselli è una poesia che alterna una forma di monologo poetico a un’espressione minimale (in particolare nella sezione Parole alle formiche, titolo non privo di gustosa provocazione), come un volersi districare tra un vivere e una concettualità fulminante. Forse a volte le dimensioni collidono, ma questo non è un difetto. L’uomo stesso è una continua collisione tra la ricerca del proprio significato e la nuda realtà, quella invalicabile che segna il limite estremo dell’esistenza.

Federico Preziosi