Non esisti, ma so il tuo nome e cosa credi di essere. Che cosa sei e quanti sei hai l’opportunità di scoprilo entrando. «Dove?» dici. È una magia.

Scrivo per un abracadabra del destino o solo della vita o della morte o di quell’apprendista stregone che è Dio. A te questo non interessa, roba mia, ma incuriosirti non guasta. E intanto sarai preparato alle domande senza risposta che ti spettano, pronto a essere stupito, meravigliato, disgustato. Perché lì ti spingo, sull’orlo dell’umano, dove l’eroe è mostruoso, dove muoiono i mostri e gli eroi subito dopo e parafraso a memoria e forse a sproposito il Calasso di Cadmo e Armonia, nascondendomi/ mostrandomi modesta: modestia, la muliebre virtù che mi redime.

«Ma come? (hai in mano il mio libro e stai leggendo il titolo) Pelle di rondine Ah, le rondini!» E giù primavere e fiori e ruscelli… Tu pensale d’autunno, nere maniacali, fameliche. E pelle dove la mettiamo? Perché è uno scalpo rovesciato in rosignolo ha volto la pelle delle rondini, atto / effetto di uno scorticamento. Per cui, se credi di essere blandito, rassicurato, incantato, se pensi di riconoscere in questi versi il tuo quotidiano illuccichito dalla musa o anche meno, lascia perdere.

Non che abbia preconcetti sull’argomento, il fatto è che l’ho dilapidato,credendo il mio tempo brevissimo. Porto, a prova, versi da Madeline perché sospiri (raccoltina già rispetto al mio primo libro O silenzio cresciuto moderata, per l’Inedito Montale, vincitrice poi e pubblicata da Scheiwiller): Quando presumevo di fermare / con parole finite l’infinito mutarsi del tramonto / pensavo: non vivrò a lungo. Con alchemico gioco la brevità/ del mio tempo la vestiva d)eterno. / Sopravvissuta a quel tempo / una lingua abusata mostra/ la corda lisa. Pago / l’estatica foga con un’impotenza / sfinita.

Se invece sei una di quelle anime belle che in vestaglia di sultano «Su, faivedere che sai fare. Alle brutte mi addormento» lasca perdere lo stesso.

È una sfida che ti lancio. Vuoi entrare? «Dove?» dici. Ti avverto che non scrivo per te, non ci penso proprio. Inseguo un mio sogno di parole, sogno vero una notte dentro il letto, piccolo come un graal e pubblico, brigo per pubblicare, oltre che per un ventaglio di motivi meschinucci che indovini facilmente, allo scopo di camminare, invadere, corrompere.

«Un progetto come un altro» pensi «se non fosse a dir poco faraonico. Questa poi da dove spunta?» Il mio background? Al di là del sogno che mi fu detonatore, per cercare le mie polveri devo andare assai lontano, a mia madre che leggeva per me Salgari a merenda e mio padre e a un Alice nello specchio.

In ogni modo il tuo sarà un viaggio solitario senza carte (specie quelle dei turisti: alberghi ristoranti musei monumenti autostrade bagni pubblici svincoli) né bussola. Una mappa piratesca posso dartela e non è filo di Arianna, solo un teschio con le tibie per la Morte, un occhio in un triangolo per Dio, un albero di Giuda che è la vita, la fede la lotta, il tradimento. «l’amore?» Punti fissi, poi non tanto ché si specchiamo mischiandosi e si frangono e moltiplicano, ingannandosi invitandoti sviandoti.

Per il resto versi da battere e fra di loro non riuscirai a cogliere, non c’è, gerarchia di riferimento, statue, targhe, platani mancando a blasonato. E non sarebbe come prenderti per mano? Il tutto complicato dall’esistere del/ nel libro in una autosufficienza e autosignificanza ormai fuori dalla giurisdizione del Poeta a cui pure si deve il lavoro di scelta, ordine, montaggio. Perché l’altro, la ‘creazione’ mi secca un po’ ammetterlo, è ascolto. Niente lima. Poi però taglio, abbatto, giardiniere col machete in un proliferare quasi immondo da foresta pluviale. La poesia, perché ho leccato queste righe ingarbugliate come cagna il suo cucciolo di cane.

Il Labirinto, signore e signori! E puoi entrarci di fondo, di lato, il pedaggio non cambia. E non perdere tempo a pensare il mio percorso: non è il mio, che sarebbe poi piacere da guardone, è il tuo essere dentro che è in ballo, anima psiche inconscio o come altro vuoi chiamarlo.

Presuntuosa? È che ho trovato nei giudizi degli addetti (a parte alcune costanti che conosco e riconosco qual l’arroganza della parola, l’ambiguità, il libido dell’eccesso, il narcisismo … ) variabili personalissime: qualcosa di quello, sconosciuto a loro stessi tanto da non riconoscerlo, da attribuirlo all’autore è rimasto dentro il libro e lo ha mutato. Polisemia è vezzo capitale.

Se poi volessi scrivermi per dirmi che non è vero niente, che è tutta un’altra storia o anche per indicarmi un ...ismo in cui rinchiudermi, se hai tempo e voglia, fallo! Sarà una perversione ma godo delle critiche e da quelle ho tratto puntelli di poetica (manufatti della ragione alla poesia che la supera) nel contempo maturando tre o quattro certezze da eretico. E non inchiodatemi nelle antologie scolastiche, vi prego! E il ‘voi’ è un inchino al Potere Sovrano.

Un ultimo avvertimento: quelle persone (prima seconda terza, maschile e femminile, singolare e plurale) che abitano Pelle di rondine quelle, vecchio ermafrodito sono sempre e ancora io e le amo, anzi più correttamente, io ci amo.

Una cosa ti resta da fare, leggermi o non leggermi, ma se per una qualche tua ragione mi hai seguito, forse ormai non c’è salvezza. Sai, il contagio…

Lo sai che sono divisibili le stelle.
A nulla è valso affumicarmi l’occhio, salire
a sobillare un vento: otto volte cantai
– stecca di gallo grasso –
tracciato per te magico viottolo.
Di qua e di là marine, nuche
chine di pini – scrimine il faro
a tradimento e meraviglia.

Non travisava il passero l’imbocco
dei viali, non messe c’era.
Modulava spossandosi un pensiero:
avanzano canzoni a divorarmi
piacere di squisito mercimonio.
Quali di quelle stelle torneranno a domandarmi
quanto tempo candito ho rosicchiato dalla mem
alta – assunsi metamorfosi a salire
randagie. La notte dondolava sui cipressi.
Sbianca il mio sangue tu
che mi trascorri fra le dita:
vengono in fila, sanno
io viva.

Branco di lupi magri s’avventava
ai muri il fortunale. Il profilo
viola parve la pioggia frangere dai vetri.

Luisella Palmieri