Chissà se esistono i libri per bambini. Io non ci ho mai creduto, ho sempre pensato che esistano solo le storie. Per tutti.
Eppure negli anni ’50 del secolo scorso, quando i miei nonni entrarono in libreria e finirono per comprare i due volumetti cartonati e illustrati in bianco e nero di un libro dal titolo misterioso di Poo Lorn, lo fecero pensando a un libro per mio padre, che di sicuro era un bambino. Pensavano, girando per gli scaffali di quella libreria del centro, a una storia da poter leggere al loro bimbo dopo averlo messo a letto la sera e prima che la notte e i sogni lo avviluppassero ancora.
Oggi il tipo di libro a cui penserebbero dei genitori per leggerlo al loro bambino, se ci pensassero, sarebbe diverso, e probabilmente non sarebbe un romanzo così lungo.
Circa trent’anni dopo, quel libro che i miei nonni avevano scelto per loro e per il loro bimbo, lo lessi anche io, che forse avevo già dieci anni, pescandolo dalla libreria di casa, incuriosito più che altro dal non capire il senso di quei due lemmi strani ed esotici: Poo Lorn.

Ma che cos’era Poo Lorn? Che significava? Che voleva dire?
Da quella lontana edizione del 1954 della Nuova accademia editrice, per quanto io possa sapere, questo libro non risulta mai più ristampato in Italia, ed è un vero peccato per molti bambini e per tutti i lettori di certe storie, storie delicate che ci fanno ancora guardare dentro e attorno a noi con uno sguardo diverso. Ma, tornando alla lettura e a cosa ci potrebbe spingere a cercare di leggere questo libro, cosa sia Poo Lorn è effettivamente la domanda giusta da farsi.

Poo Lorn è un elefante, come si evince più facilmente dal titolo originale del libro Poo Lorn of the Elephants[i], precisamente un elefante che, nascendo in cattività al servizio della compagnia del legno di Tek, vive nelle foreste orientali tra il vecchio Siam, la Birmania e l’India nei primi decenni del novecento e le cui gesta sono descritte dallo scrittore (ed ex ufficiale di marina nonché sovraintendente forestale in Siam) Reginald Campbell.

Il territorio che mette in scena Campbell in questo libro è tratteggiato per atmosfere e contrapposizioni, palpitante di una natura ancora da domare e tenuta fuori dai recinti “civili” dei bianchi, un territorio dove la foresta, i villaggi nascosti, gli indigeni stessi sembrano una fitta e impenetrabile barriera di insidie ed elaborate compravendite di materiali e anime che si perdono lentamente, in dissoluzione.
Il senso dell’avventura romantica è sempre presente nel romanzo, lo scenario è perfetto, ma non è un luogo stereotipato dove si muovono colonialisti e indigeni, è un qualcosa dove il mistero della natura la fa da padrone e spesso si ha l’impressione che lo scrittore ci dia un’immagine semplificata solo perché ha il pudore di fermarsi ai margini della sua narrazione, lì dove si rende conto di non sapere, di non capire abbastanza, ma di voler provare solamente a mostrare.

Questo immerge i personaggi del racconto e il racconto stesso in una dimensione lontana e ancora più fiabesca, ma con la crudeltà vera delle favole di una volta, dove attraverso la sofferenza e la nostalgia di una condizione perduta o da ritrovare si arriva a comprendere, prima ancora di poter crescere, che tipo di esseri si vuole essere.
Il perno del romanzo rimane comunque Poo Lorn, Poo Lorn il terribile,  a cui fin dall’incipit ci troviamo subito accanto:

Poo Lorn, il terribile, dopo aver finito la sua giornata di lavoro, si aggirava solo nella foresta. Le catene di ferro che gli impastoiavano le poderose zampe gli permettevano di pascolare, ma gli impedivano di allontanarsi troppo da quegli esseri umani che egli odiava e serviva.
Sin da quando era un butcha, o cucciolo di elefante, l’odio per l’umanità gli si era radicato nell’animo, ma ora l’intensità di quest’odio era raddoppiata per uno strano, incomprensibile impulso, che gli faceva desiderare un lungo viaggio verso il nord.

Poo Lorn, nel corso del romanzo, viene sempre descritto per le sue qualità animali e mai ridotto ai termini di animale umanizzato a cui ormai siamo troppo abituati. Ovviamente Campbell fa in modo di trasmettercene il pensiero, ma in realtà la sensazione che prevale nel lettore rimane sempre quella di trovarsi davanti ad un maestoso re della foresta, difficile da avvicinare e comprendere, impegnato a difendere qualcosa di talmente primordiale che, se la sua natura gli permette di sentirlo per istinto, nessuna logica umana o similiare può svelare.

La ribellione di Poo Lorn verso gli esseri umani e la loro imposizione di civiltà connaturata allo sfruttamento percorre il romanzo, ma dentro questa lotta galleggia per decenni il legame tra l’elefante ed Elisa (e successivamente anche con la di lei bambina, chiamata la piccola Elisa), figlia del sovraintendente della compagnia Morrison. Particolari come questo, il ripetersi del nome della bambina, o alcuni ritorni di situazioni e reazioni a eventi accaduti anni prima, sembrano disegnare un’idea di tempo quasi sospeso o circolare, e anche tracciare una distinzione tra uomini, bestie ed eroi diventa difficile. Come se Campbell volesse sottolineare l’unico flusso eterno che lega ogni cosa.

Tra i protagonisti inglesi e autoctoni del libro c’è un osservarsi continuo, un interpretarsi nel contesto cangiante dove la contrapposizione di “buoni” e “cattivi” tipica della fiaba (il cattivo umano qui è un perfido affarista cinese chiamato Chek Lee) non è tanto per etnia, razza o posizione ma per umanità e capacità di provare a comprendere che parte del mondo e della natura si è e si abita.
Elisa e il suo amico elefante si sfioreranno e sembreranno coltivare la loro intesa a distanza per tutto il corso degli anni e delle innumerevoli avventure e trame che coinvolgeranno Poo Lorn nel suo percorso di liberazione.

Questo libro è un romanzo lirico e al contempo crudo, nel quale di certo Campbell cercare di mostrare il volto migliore dei colonizzatori, dove però non c’è menzogna in quel che si racconta ma soprattutto costernazione per un mondo a suo modo magico e potente che sembra scivolare via dalle mani di chi lo abita e corrompersi per sempre.
Il grande respiro della foresta, il clangore della rottura delle pastoie tra le urla dei coolies, il silenzio di un lungo addio  sono il suono di fondo che vi accompagnerà nella vostra lettura. Prima della notte.

Simone Battig


[i] Ho scoperto di recente e con sorpresa che di questo romanzo poco letto in Italia è stato fatto un film, dai francesi, nel 1980. Il film si intitola Tusk e a giudicare dal trailer visibile qui non mi pare eccelso. Il trailer non sembra rispecchiare le atmosfere e il senso del libro, ma la cosa ancora più sorprendente è che il regista di questo film sia l’eclettico scrittore, fumettista, saggista e appunto cineasta cileno naturalizzato francese Alejandro Jodorowsky, che ricorderete per film molto più estremi e surreali (e spero per la serie a fumetti L’Incal) rispetto alla storia di un terribile elefante girata in India.