“Tutte le famiglie felici si assomigliano; ogni famiglia infelice invece è infelice a modo suo”: è questo il celeberrimo incipit di Anna Karenina, capolavoro di Lev Tolstoj. Giovanni, il protagonista del romanzo di Claudio Piersanti, ne è colpito mentre ne ricopia il testo per allestire una copia esclusiva per sua moglie Giulia. Ed è l’assunto che Piersanti, in questo romanzo candidato al Premio Strega 2022, vuol rovesciare, restituendoci la storia, struggente e malinconica, di un matrimonio felice, tra due persone ordinariamente “normali”, all’apparenza mediocri.
Giovanni è un tipografo sulla cinquantina. Ha acquistato il suo negozio a Milano dopo essere stato licenziato dalla grande azienda per cui ha lavorato per tanti anni. A volte pensa ancora con malinconia al tram che prendeva per andare a lavoro, come un nostalgico Marcovaldo smarrito nella grande città, nei suoi pensieri. È una persona abitudinaria, “gentile e un po’ pirla”, al punto da sentirsi un debole, il classico povero fesso in un mondo di furbi, nel quale molti lettori, compresa la scrivente, potrebbero riconoscersi. Ama il suo lavoro: il profumo della carta, dell’inchiostro, i caratteri della stampa. Nonostante abbia l’ossessione per la precisione della ricopiatura, non è un gran lettore: “Uno dei pochi [libri] che aveva letto era il Don Chisciotte della Mancia e in fondo quello era il destino del tipografo: vivere in un mondo che non c’è più”.
Giovanni è una persona buona e in fondo semplice. Si sente fuori posto. Crede al “sempre”, mentre “la modernità è ingannevole e sempre provvisoria”. È sposato da anni con Giulia, una donna bellissima e colta, che fa la segretaria, pur essendosi laureata da giovane a pieni voti in lingue. Giovanni si chiede da sempre cosa abbia visto in lui e perché si accontenti di quella loro vita così ordinaria. E poi c’è la Piccola, la loro unica figlia, ormai all’estero per motivi di studio e lavoro, catapultata in un’Europa efficiente e ricca, lontana. Giovanni e Giulia vivono in una villetta a schiera suburbana, dove lei coltiva con amore fiori bellissimi. Sono felici nel piccolo mondo, semplice e quasi autosufficiente, che si sono costruiti con tenacia, giorno dopo giorno, sacrificio dopo sacrificio. Il loro è un amore esclusivo e pieno, sereno.
Il male però entra anche nella loro casa. Giulia si ammala. Giovanni le sta accanto durante le terapie. Non vogliono dirselo, ma la malattia ha intaccato anche qualcosa nella loro coppia. Un giorno, dopo una notte d’amore molto tenera, Giulia inspiegabilmente scompare. Giovanni rispetta la sua scelta, non la cerca; ma il suo universo è ormai in frantumi. Si attacca il più possibile alla routine, al lavoro, alle sue abitudini, agli amici, un ex-collega e sua cugina, che lo sostengono. Decide di fare qualcosa per riconquistare Giulia: ricopiare un libro ad arte, solo per lei. Nella libreria della moglie il primo romanzo che trova è proprio Anna Karenina. Man mano che la lettura avanza, Giovanni inizia a sostituire la letteratura alla vita: e inizia a immaginare che anche Giulia, come Anna, abbia un Vronskji, un amante che l’abbia condotta via da qualche parte, lontano da lui. Vronskj è tutto ciò che lui non è, tutto ciò che vorrebbe essere; diventa pian piano proiezione del male che attacca l’esistenza di tutti e infine, quando Giulia tornerà, della morte stessa, fino al tragico epilogo.
Quel maledetto Vronskij è un libro che scava a fondo nella psicologia di personaggi apparentemente semplici e mediocri, svelando la complessità di sentimenti e relazioni che a prima vista potrebbero sembrare banali, “borghesi”, noiose. È un romanzo d’amore che ridona dignità a quella classe di persone buone, i Don Chisciotte del nostro tempo, troppo spesso oggetto di cliché snob anche da parte di quelle classi politiche e intellettuali che dovrebbero rappresentarle. Piersanti ne segue le profondità del pensiero, le paure, le ossessioni, ma anche i sussulti di pura gioia, con uno stile asciutto, stringato, ben ritmato, che mai cedente alla tentazione della parola ad effetto, dell’inutile sentimentalismo. Uno stile che, nella sua ricerca di oggettività, mette in luce l’autenticità del dettato interiore dei personaggi e delle situazioni, a volte rocambolesche e impensate, che si trovano a vivere. E ci sono anche dei momenti di poesia, in cui il linguaggio ellittico, sospeso, fa emergere il silenzio e tutte le possibilità del non detto, tutta la drammaticità delle vicende con cui questi poveri inetti postmoderni devono fare i conti in mezzo a “cambiamenti che portano altri cambiamenti e alla fine ci si trova cambiati anche continuando la solita vita di sempre”.
È, inoltre, un romanzo che pone numerosi interrogativi sul mondo in cui viviamo: dallo strapotere delle tecnologia, causa della perdita del lavoro di Giovanni e del declino dell’arte tipografica, alla nuova struttura di famiglia, “una cosa transitoria, come il lavoro, del resto come l’esistenza stessa”, resa tala anche dalla globalizzazione (la Piccola vive in un’altra parte del mondo e non nutre più alcun senso di appartenenza rispetto alla propria famiglia e alla propria città), alla solitudine in cui tutti, singoli, coppie, interi quartieri, siamo immersi; il problema della malattia e della sofferenza, che non sappiamo più affrontare; l’idea stessa di felicità quale assenza di dolore che il mondo capitalista ha forgiato, rendendoci tutti schiavi insoddisfatti della logica della perfezione e dell’efficienza, mentre “la felicità è leggerezza, è una cosa sottile, che se la chiami con il suo nome scompare. Dev’essere inconsapevole e senza sforzo”.
Il romanzo di Piersanti ci ricorda che esiste per ognuno un maledetto Vronskji. Che non si può sconfiggere, ma si può affrontare di volta in volta solo con una forza: l’amore.
Maria Consiglia Alvino
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