Nella storia della letteratura italiana l’universo delle scrittrici femminili appare avvolto da una nebulosa che in gran parte attende ancora di essere dissolta: Pia Rimini, prima con L’amore muto e ora con Il Giunco, editi entrambi da readerforblind, per la collana “Le Polveri” è un’autrice sgusciata via dalle particelle di quella nube, per giungere ai giorni nostri.
Rimini, scrittrice triestina che frequentò gli ambienti letterari di Italo Svevo, Umberto Saba, era ebrea, e come molti intellettuali del tempo finì ad Auschwitz nel 1944, da cui non fece più ritorno: nonostante fosse stata battezzata i tedeschi la considerarono completamente ebrea e sul suo destino scese un alone di mistero. Non è nota la sua data di morte e molti dei suoi documenti sono andati perduti.
Di questa autrice fiera, con il cappello elegante e lo sguardo vivo, sappiamo che ebbe una gravidanza senza essere sposata e con la promessa di ricongiungersi al padre del bambino una volta partorito: ma il piccolo nacque morto. Un trauma che la segnerà per tutta la vita.
Ne Il Giunco Pia Rimini ci mette se stessa: è un romanzo di forte ispirazione autobiografica, in cui, a distanza di un secolo spicca la grande propensione di ribaltare le ipocrisie e le dinamiche conservatrici e soffocanti verso le donne. Donne intrappolate in un ruolo, costrette a non far sentire la loro voce, né tantomeno a prendere le loro autentiche scelte.
Maria, la protagonista del romanzo, è una donna delusa e guardinga nei confronti delle istituzioni e della società, che però non smette nemmeno un attimo di cercare l’amore, quello vero.
Maria abbandonerà la confortevole casa dei genitori, affrontando diverse prove (soprattutto interne) per un legame che non sarà mai del tutto ricambiato.
Nella prefazione curata dalla scrittrice e storica, Erika Silvestri, si evidenzia la capacità di descrivere le sensazioni della protagonista che vengono dalla vita di Pia: si riesce a vivere il dramma dell’amore e dell’abbandono, “tanto che sembra impossibile non sentire la sua voce, la sua ansia per l’attesa, la paura di deludere gli amati genitori, la decisione di portare avanti una gravidanza che non è mai occasione per dirsi colpevole o vittima, ma sempre gioia per dare incondizionatamente”.
La prosa è intima, impreziosita dal verismo, che sconfina nelle descrizioni della natura, dall’inverno all’estate, specchio interno delle stagioni interne della protagonista.
“Dopo l’acquazzone che il vento incalzava, obliquo, tra le nubi rotte si allargò l’azzurro che rise nello specchio lucido del selciato, in un fluire gaio di riflessi”.
Il titolo del libro è evocativo – come tutti quelli che Pia Rimini aveva dato alla sua produzione, pensiamo a La spalla alata (1929), Eva e il paracadute (1931), appunto L’Amore muto – lo si vede subito: una pianta acquatica che cresce esile ma resistente.
Pia è una donna nata nel 1900 che ha dovuto lottare per essere se stessa o per redimersi dai suoi sbagli e ne Il Giunco questo si evince, ad ogni pagina.
La scrittrice triestina si sposerà nuovamente a 37 anni con Ercole Rivalta, giornalista del «Giornale D’Italia», di più di vent’ anni vecchio di lei: ma il matrimonio terminerà con la richiesta di annullamento da parte di lui, dopo un conflitto dovuto alla devozione della Rimini ai suoi genitori, che volle seguire a Trieste, dopo la Toscana dove si era trasferita.
Il Giunco è un romanzo moderno: non tanto per la laicità delle vicende e della voce della narratrice, ma perché Maria, la protagonista, è raccontata nei suoi sentimenti più veri, parla dei suoi sbagli, dei suoi fallimenti. Delle sue ferite enormi.
E del suo desiderio di un sentimento assoluto: “L’Amore sarebbe venuto e le avrebbe impresso nel cuore, come un giuramento che fonde due vite innamorate, una parola di luce: sempre perché guardando la limpidezza azzurra, immensa e libera del cielo, si sente che si può credere alla parola che ci canta nel cuore, trepida come una speranza, salda come una promessa: sempre”. Come in Sibilla Aleramo la vocazione al sentimento si incastra nella lotta femminista, nelle attività di difesa dei diritti delle donne, ma appunto anche per la ricerca di un amore che, forse, anche per la stessa Aleramo non è mai stato veramente coronato.
Antonella De Biasi
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