Prima di assumere definitivamente il nome con cui oggi lo conosciamo, Umberto Saba compose, intorno ai quarant’anni, la propria Autobiografia (1924). Si tratta di una breve raccolta di quindici sonetti con cui il poeta triestino ripercorse e mise in versi la propria esistenza fino a quel momento. La scelta della forma metrica del sonetto ha un che di programmatico e autocelebrativo, data l’importanza che essa ha assunto nella tradizione italiana. Nonostante ciò, va osservato come in questa raccolta – soprattutto dal punto di vista rimico – Saba trovi una propria dimensione formale. Il poeta non segue del tutto la consuetudine (quindi lo schema ABBA ABBA CDE CDE), ma decide di dare alle quartine dei propri sonetti una struttura in rime alternate (ABAB ABAB), o, in alternativa, invertite (ABAB BABA), in modo da ottenere una cadenza narrativa, scorrevole e, quindi, in linea con l’intento dell’opera: ovvero il racconto autobiografico.

Per il costante tono malinconico e amaro che possiede, l’Autobiografia ricorda una storia di sopravvivenza, un resoconto rapido e sincero del proprio passato che non lascia spazio alla prolissità. Saba comincia trascrivendo le impressioni che più riassumono la sua infanzia: «Per immagini tristi e dolorose / passò la giovinezza mia infelice» (1, vv. 1-2). Nato il 9 marzo 1883 col nome di Umberto Poli, il poeta si è ritrovato fin da piccolo a dover fare i conti con una realtà familiare difficile. Ai genitori, Felicia Rachele Coen e Ugo Edoardo Poli, Saba dedica il secondo e il terzo sonetto dell’opera, nei quali mette a confronto queste due figure genitoriali tanto diverse («eran due razze in antica tenzone», 3, v. 14): da un lato, il padre, un ex galeotto incarcerato per lesa maestà che, una volta scagionato, ha deciso di abbandonare la moglie e il figlio appena nato («Mio padre era stato per me l’“assassino”, / fino ai vent’anni che l’ho conosciuto», 3, vv. 1-2) e che, comunque, ha continuato ad apparire agli occhi del poeta come una figura mitologica verso cui tendere, un eroe irraggiungibile, «gaio e leggero» (3, v. 9) che da sempre sfugge «di mano (…) come un pallone» (3, v. 11); dall’altro lato, la madre, invece caratterizzata dalla staticità, dall’essere rimasta «sola, la notte, nel deserto letto» (2, v. 2), una donna-pietra logorata dalla tristezza, capace soltanto di resistere stoicamente a tutte le intemperie della vita («mia madre / tutti sentiva della vita i pesi», 3, vv. 9-10). La comparazione tra i due genitori si manifesta anche nella metrica dei due sonetti: in entrambi i testi, infatti, le parole madre e padre vengono messe in rima in terzine diverse, a riprova del loro inevitabile legame ma anche della loro totale incomunicabilità. Nell’infanzia del “piccolo Berto”, a compensare le mancanze da parte di entrambi i genitori ci furono la dolce balia Peppa e la zia Regina («una zia benefica ed amata / come la madre», 4, vv. 3-4).

L’Autobiografia ci svela un bambino arreso alla vita, privo di grosse ambizioni e di plateali esibizioni di velleità artistiche, al contrario di quanto ci si aspetterebbe di scoprire leggendo gli aneddoti infantili di uno scrittore («Dal fanciullo era nato il giovanetto, / ma triste ancora, ancor senza baldanza / ed incerta ai suoi occhi era la mèta», 5, vv. 9-11). La rivelazione circa la propria natura di poeta arriva quasi per caso in adolescenza («Dell’umana natura essere al fondo / pensavi, e invece ne sei quasi fuore. / Un poeta», 7, vv. 7-9) lasciando Saba certamente incredulo («È possibile, oh ciel, che questo sia?», 7, v. 14). Tuttavia, la poesia non impedisce ad altri mali di abbattersi sul giovane Saba: «verso i vent’anni, a Pisa» (8, v. 14), comincia a soffrire di neurastenie, con il manifestarsi di crisi che lo tormenteranno per tutta la vita. La prima, per esempio, avviene a causa di «un’idea improvvisa» (8, v. 11) un’ossessione («mi strinse il cuore, m’occupò il pensiero / di mostri, insonne credevo impazzire», 8, vv. 12-13), ovvero il timore di essere denunciato alla polizia asburgica dall’amico Ugo Chiesa, geloso dell’intesa che col tempo era nata tra la fidanzata, Lucia Pitteri, e il giovane poeta.

I rimanenti sei sonetti dell’Autobiografia riassumono altri vent’anni del poeta: il periodo a Firenze, dove prova, con fatica, a integrarsi nel contesto culturale della città («Ero fra lor di un’altra spece», 10, v. 14); l’incontro con D’Annunzio, l’autore che più di tutti ha influenzato le sue liriche; la tanto desiderata conoscenza del padre, dopo la quale il poeta inizia a usare lo pseudonimo Umberto da Montereale, in omaggio alle origini friulane della famiglia Poli; il matrimonio con l’amata Lina; gli anni di servizio militare, unica vera esperienza in cui riesce a sentire l’appartenenza a una comunità («me stesso ritrovai tra i miei soldati», 11, v. 1); la nascita della figlia «dagli occhi azzurri» (12, v. 4); la pubblicazione di Poesie, la sua prima raccolta di versi e testi con cui cambia nome d’arte in Umberto Saba (che in seguito, nel 1928, assume anche all’anagrafe); e perfino la prima guerra mondiale («Dell’Europa – pensavo – ecco, è la sera», 14, v. 12).

La vita di Saba scorre tra le strofe dell’Autobiografia senza diventare davvero oggetto di riflessione; vengono nominati tutti i cardini biografici dello scrittore, ma senza la pretesa di analizzarli o di darne una rilettura a posteriori. L’unica figura su cui Saba si sofferma davvero negli ultimi testi è la moglie Lina, il cui nome diventa persino parola-rima nel sonetto 12. Appare chiaro che l’intento dell’opera sia il semplice tentativo di non perdere la traccia degli eventi passati, la testimonianza diretta ed epigrafica di quel che è stato e la riduzione della memoria a un monumento in quindici sonetti.

L’ultima poesia riconduce Saba sulle strade di Trieste e tra gli scaffali della sua «strana bottega d’antiquario» (15, v. 1), oggi nota come Libreria Antica e Moderna Umberto Saba. Lo immortala, dunque, nella celebre veste di poeta-libraio, sempre munito di «berretto pipa bastone», immagine che corrisponde esattamente a quella testimoniata da Sereni ne Gli strumenti umani.

Amedeo Bova

(Edizione di riferimento: Umberto Saba, Il canzoniere (1900-1954), Torino, Einaudi, 2014)

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