Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.

Alessandra Minervini tiene corsi di scrittura, scrive e legge molto. Il suo sito è alessandraminervini.info.


Samuele Cornalba, Bagai, Einaudi 2024

Elia non è molto bravo a provare sentimenti. Se ne va in giro con il pollice sulla rotella dello Zippo e dentro ha un dolore che non finisce mai. Poi arriva Camilla, che si avvicina «come se lui le dovesse una spiegazione, un posto vicino sul pullman, un po’ d’affetto». E arrivano dal passato dei segni che sono come schiaffi, o carezze. Forse dall’inquietudine e dalla provincia non ci si salva neanche con l’amore travolgente dei vent’anni; a volte, però, ci sono persone e pensieri e dettagli che possono rendere il futuro un luogo meno spaventoso. Bagai è l’esordio di uno scrittore nato nel 2000, ma non è un romanzo generazionale: è un urlo potentissimo. La dimostrazione che il talento non aspetta, esiste e basta.
einaudi.it


Lezione n. 62

Mondi narrativi di ieri e di oggi: la provincia giovane

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«Non più un bambino, adulto non ancora, incastrato in una quasi età. Bagai è invariabile.»

Samuele Cornalba ha 24 anni, vive a Pandino, vicino Cremona. Nel dialetto del suo paese Bagai significa ragazzi. Identifica un ragazzo non più bambino non ancora adulto, un ragazzo del liceo, all’ultimo anno. Il lessema ha un valore semantico ambiguo poiché privo di riferimenti concreti. Bagi è un plurale ma include un’unità multipla. Può essere usato al singolare e al plurale, non è detto che debba valere solo il maschile. Bagai è un’insegna su un bar di provincia, la sigla di una generazione sbarbata e sensibile, lontana dalla leggerezza delle precedenti generazioni, lontana dal calore degli ideali, con l’apparenza imperturbabile che non si frantuma, è già frantumata. Nasce a pezzi e compito del lettore è ricomporre questi pezzi. La profondità della storia di Cornalba è aver racchiuso in una comunità di ragazzi le imposture degli adulti. La solitudine dei non giovani di Pandino.

Come nasce la prima scintilla di Bagai? Che forma embrionale aveva e come ti è venuta l’idea di questa storia?

Senza la scuola di scrittura Belleville, Bagai non esisterebbe. Prima del loro corso annuale, avevo scritto solo racconti brevi: non avere la barba e già lavorare a un romanzo mi sembrava presuntuoso. La scintilla è scattata grazie a Walter Siti e alle sue lezioni. Dover presentare ogni settimana una scena, un paragrafo, una scaletta, mi ha liberato da ogni tentennamento. E prima di avere a fuoco i personaggi, la trama, l’ambientazione, sapevo che il punto di partenza sarebbe stato un sentimento che avevo vissuto a fondo negli anni dell’adolescenza: avrei scritto un romanzo sull’indifferenza.

Elia, Andrea, Giulia, Camilla e i loro compagni di scuola. Chi sono i Bagai del tuo romanzo? Come li identificheresti?

Mi prendo la licenza di rispondere con una citazione: «Per la prima volta si rende conto di essere un bagai. Non più bambino, adulto non ancora, incastrato in una quasi-età. […] Bagai è lui, bagai è Andrea, bagai sono i ragazzi di Pandino, della provincia, quelli a cui sono stati cancellati futuro e ricordi, quelli che corrono senza direzione, che scappano da un mondo incendiato». Abbiamo scelto “Bagai” (letteralmente “ragazzo/i” nel dialetto del mio paese) come titolo perché è invariabile e ben si attaglia sia al protagonista che ai suoi coetanei, alla mia generazione. È una bella parola da abitare, che restituisce la fluidità di questi anni, dove non sai ancora bene cosa sei e cosa vuoi diventare.

Il prologo mi ha fatto pensare all’incipit di Gli storpi entreranno per primi di O’Connor. Una storia di infanzia mutilata. Ci sono riferimenti letterari che ti hanno accompagnato o che ritieni guide per la tua scrittura?

Prima e durante la scrittura, mi sono costruito un piccolo canone di autori indifferenti a cui ispirarmi (e da cui rubare spunti). Il primo e più ovvio riferimento sono stati Gli Indifferenti di Moravia, ma anche Oblomov di Gončarov, La Nausea di Sartre, Niente di Teller e Lo Straniero di Camus. Romanzi magnifici legati da una stanchezza del sentire, da un sentimento di estraneità verso il mondo e verso se stessi. A livello più generale, invece, John Fante e Paul Auster rimangono stelle polari; spero un giorno di riuscire a scrivere qualcosa che valga anche solo un decimo dei loro romanzi.

Il tuo è un romanzo di formazione intesa come la trasformazione dei personaggi verso se stessi. È là che devono approdare per scoprire da dove vengono, per mostrare cosa succede nelle loro famiglie, centrali nel viaggio trasformativo. Che idea della famiglia c’è in Bagai e che modalità di relazioni racconti?

Bagai racconta una parte della formazione di Elia, formazione che passa inevitabilmente dal confronto con la famiglia. Da una parte c’è la voragine lasciata dalla scomparsa da Teresa, sua madre, le difficoltà e i timori di fare i conti con una mancanza che è «come una fame, ma più brutale»; dall’altra c’è il rapporto col padre Carlo con la costante tensione, i non detti, la voglia di urlare. C’è sempre qualcosa che li trattiene dall’aprirsi del tutto.

«Visti dall’esterno, lui e suo padre devono sembrare ridicoli. Troppo compromessi per parlare, affidano agli oggetti l’onere dei discorsi importanti. Ci sarà sempre un regalo che li salverà dalle domande intime, dalle risposte vulnerabili».

Pandino è un personaggio fondamentale, determina l’atmosfera della storia. È luogo, tana, rifugio, prigione, provincia: cosa prevale nella tua idea di mondo narrativo?

La provincia è innanzitutto casa: per me, per Elia, per Camilla, per i bagai. Ho fatto un gran lavoro per restituire Pandino per come la vivo e l’ho vissuta, senza sconti né idealizzazioni – un paesino nella campagna cremonese mangiato dalla nebbia d’inverno e d’estate ubriaco di mais e cicale. È un luogo rassicurante, facile da afferrare e capire, facile da chiamare casa. Il problema arriva quando cresci: un giorno ti punge la consapevolezza che essere giovani significa sbattere contro gli spigoli del mondo, ma nella provincia di spigoli non ce ne sono. Quella familiarità diventa un limite, e allora se vai a correre nei campi senti che ti manca l’aria e vorresti urlare contro le cascine e prendere a pugni i trattori. È per questo che a un certo punto Camilla parla di «palude», dell’energia e dello sforzo necessari per scappare, per scoprire altra vita. Se hai vent’anni tutto ti sembra piccolo e meschino, come te. Camilla va, Elia resta, lei parte, lui è un bagai. E non so per cosa serva più coraggio.
Nelle pagine di Cornalba le descrizioni sono istanti vivi, l’uso di un linguaggio evocativo è essenziale. Gli oggetti, i luoghi, le stanze, gli alberi, il clima sono attori nella pagina. La scrittura li rende una presenza solida. Una strada in Bagai diventa la nostra strada, una stanza pure. I dettagli interagiscono con i personaggi e con la storia. Ci prendono per mano, e li prendiamo per mano dentro un percorso di scoperta condiviso.

«La villa è circondata da campi che d’estate scoppiano di granoturco ma che ora sono pieni di buio, l’ingresso decorato da luci gialle rosse blu. (…) Nel soggiorno troppi invitati. Sui mobili piattini con resti di cibo e bicchieri di liquidi favolosi, i divani traboccano di persone che ridono. La stanza è scura, rischiarata qua e là dalle stesse luci colorate dell’ingresso.»

La tua scrittura si nutre di parole precise e assenze altrettanto precise. Come hai lavorato alla struttura, quanto hai scritto e come: era questa la prima forma del manoscritto?

Per scrivere la prima bozza di Bagai mi ci son voluti pochi mesi, per arrivare alla forma definitiva tre anni. La struttura di fondo non è cambiata molto, tranne che nel finale: fin dall’inizio c’erano Elia, Camilla e Andrea, l’indifferenza, la provincia. Walter Siti mi ha insegnato l’economicità, passare al setaccio anche la più insulsa delle virgole; con Raffaella Lops, mia editor e agente, ho fatto più un lavoro di macro-editing, concentrandomi su trama e personaggi, aiutato anche dai consigli di Dalia Oggero; Matteo Fontanone, editor di Einaudi, è stato fondamentale per lucidare ogni paragrafo, calibrare i capitoli che ancora scricchiolavano, ripulire il testo dalle ultime scorie. Al di là del giudizio dei lettori, sono orgoglioso del risultato finale, se non altro perché, dopo tanto lavoro, posso rendere conto di ogni singola parola di Bagai.

Walter Siti a proposito del tuo esordio parla di “insensatezza del mondo”. In che senso secondo te, i Bagai mostrano questa insensatezza. Raccontaci come sei arrivato alla pubblicazione dopo averlo scritto.

Da critico letterario qual è, Siti ha messo subito a fuoco il tema centrale del romanzo: l’indifferenza. La sensazione di vivere in un Quasi, che il mondo esista piano e male, il sentimento di estraneità nei confronti del mondo e delle altre persone. E Siti non solo ha colto il nucleo di Bagai, ma è stato fondamentale per la sua pubblicazione. Finite le lezioni alla scuola Belleville, mi ha lasciato i suoi contatti per continuare a lavorare al manoscritto insieme, e una volta conclusa la prima stesura è stato lui a mettermi in contatto con Dalia Oggero, curatrice della collana degli Unici di Einaudi.

Com’è esordire a 24 anni? Cosa cambia nella vita e nella percezione della realtà?

Credo che questo sia uno dei momenti più frenetici e belli della mia vita. Dopo quattro anni di lavoro nella mia camera vista campi pandinesi, mi ritrovo catapultato tra eventi, librerie, presentazioni. Incontrare lettrici e lettori, capire cosa Bagai ha significato per loro, scoprire interpretazioni della storia a cui non avevo pensato mi dà la misura del peso che possono avere le parole. Ecco, forse in questo sono cambiato: ho più consapevolezza di ciò che significa scrivere. E poi, è rimasta la fame di fare sempre meglio, scrivere e scrivere e scrivere. Almeno il tempo non mi manca.

Piccola bibliografia

Flannery O’Connor, Gli storpi entreranno per primi, Theoria 1991
Alberto Moravia, Gli indifferenti, Bompiani 2016
Ivan A. Gončarov, Oblomov, Feltrinelli 2014

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