Accostarsi ad una raccolta di racconti richiede delicatezza e motivazione. E non è sempre semplice. Sarà frammentazione o composizione? Pienezza o stimolo puntuale? 

Veronica Nucci risponde a queste domande con intensità e forza straordinarie, offrendo al lettore 18 camei di vite vissute, di femminilità, riconoscimento, incertezze e passioni. Forti, per lo più.

Se cercate narrazioni stucchevoli o superficiali, non le troverete.

Le donne di queste pagine attraversano in maniera intima, ma urlata alcuni degli snodi della femminilità di oggi, senza ipocrisie e chiamando le cose con il loro nome.

La maternità come desiderio di compimento, il sangue come simbolo, il dolore della rinascita quando scorre non desiderato, a ridisegnare il futuro. Anche quello degli altri. 

E se fa troppo male quell’essere madre, se troppo chiede ad un compimento, si potrà forse dire? Fuor di poesia, dentro la solitudine del vuoto fisico, delle aspettative e delle responsabilità, lo straniamento feroce della natura che fa il suo corso. 

L’essere donna in un mondo che confonde – ancora, nostro malgrado, con radici culturali profondissime – il corpo con la dignità, il rispetto con il favore, l’esserci con il proporsi. E sono parole di mani invadenti, di sguardi ciechi, di gesti pesati al grammo perché invece chissà se. Dinamiche raccontate in modo delicato ed intimo, ma crudo e diretto, che toccano il lettore, dalle quali non ci si può nascondere. La pulizia delle cose dette ad alta voce, scritte senza polemica in un racconto: poche pagine, molte vite.

La terza sezione del libro apre al mondo e ci consegna storie di luoghi e spaccati di vita più ampi, ma con lo stesso impatto: cercare un punto, quello perfetto di uno snodo dell’esistenza e consegnarlo al lettore. Che ritroverà un pezzetto di se, disegnato con finezza e garbo. Tanto delicato quanto implacabile.

Mi sono chiesta la scelta del titolo ed mi sono raccontata che il sangue è ovunque, come certe parole che colpiscono. E va bene così.

Elena Cappai