A volte ritornano, titolava uno dei soliti fortunatissimi horror di Stephen King, sapientemente declinato sul grande schermo da Tom McLoughlin nel 1991.

A volte ritornano con una certa puntualità, diremmo nel caso delle poesie di Antonio Veneziani, i cui versi eterni a cadenza ventennale ritrovano grafiche differenti, contenuti nuovi, interventi coevi.

La sua raccolta cult Brown Sugar- Strade di polvere è uscita la prima volta nel 1979, edita a Siena da Quaderni di Barbablù. Poi nel 1998 era stato Castelvecchi a editarla di nuovo a mezzo di un’immagine shock: una siringa e una scritta di polvere giallognola che pareva fuoriuscire direttamente dal suo ago micidiale Ero mon amour. Fino a che una manciata di mesi fa non è toccato a Hacca Edizioni ridare vita alle poesie sull’eroina e lo ha fatto avvolgendole in una copertina elegante, fil rouge di tutti i libri firmati dalla casa editrice di Matelica, una cover contemporanea che nulla ha a che fare con l’edizione precedente. Almeno visivamente. Un cuore infiammato al centro di uno spazio bianco che emana raggi dorati, un centinaio di pagine stampate su carta riciclata, progetto aderente alla campagna “Libri amici delle foreste” pensata da Greenpeace. In questa scelta estetica la constatazione di come i tempi cambino, di quanto un’opera intellettuale ispirata da scelte estreme e autolesioniste possa acquisire con il passare degli anni un tocco di grazia. Beatitudine, verrebbe da dire guardandola sugli scaffali di una libreria. Quella siringa così nuda e cruda in copertina è scomparsa, ma la potenza della parola che si declina in scialo totale di sé resta, con la stessa forza espressiva di quarant’anni prima, quando il poeta giovane esaltava l’effetto dello sballo usando il corpo come mezzo per raggiungere la sua verità creativa, a tratti mostruosa e parenetica.

Antonio Veneziani è uno dei maggiori rappresentanti della scuola romana di poesia, quella stessa che con Pier Paolo Pasolini, Sandro Penna, Amelia Rosselli aveva incarnato la metrica della strada e delle borgate, del linguaggio volutamente chiaro in contrasto con quello elitario ed ermetico in voga nella prima metà del secolo scorso. Poeti anti-novecenteschi potremmo definirli, autori antisistema, che con le loro voci di rottura hanno operato un collasso di schemi ideologici e sociali prestabiliti. “I suoi versi lo precedono” scrive Nicola Lagioia nella prefazione di oggi “e lui ne fu all’altezza.” “La verità leggendaria del suo procedere è lì a premiarlo di ogni sventura che potrà patire in vita. Anche essere dimenticati.” Gli fa eco Dario Bellezza, per Veneziani maestro e compagno di strada, nella sua introduzione datata 1998.

Queste poesie incarnano l’animo di chi vive nei pisciatoi, di chi si aggira di notte negli anfratti dell’oscurità alla ricerca di Amore, quello non inscatolato ed etichettato, semmai solo pronto all’uso, viscerale e urgente. Pronto a farsi verso il mattino seguente.

Insignificanti questioni di polvere sono versi inediti, scritti nel 2018. Tra i tanti questi:

Chiudiamo nelle incrinature
i sorrisi passeggeri
piccolo amore.
Rara, emaciata
sera d’esilio, questa,
che addensa sull’occhio
le ferite della giovinezza.

Nessun intento esegetico, ma una vena di nostalgia la si sente addosso. I ventenni trascorsi.

Povera vita esiliata
e dispersa al crocicchio
come un dialetto scordato.
Tra evanescenze e sparizioni
nasceranno ancora favole;
tra grida e maschere un vecchio amore
intriderà notti trasparenti.

Sembra che la distanza temporale tra gli anni della brown sugar, l’eroina marrone e appiccicosa che non subisce l’ultimo passaggio di raffinazione per diventare bianca e pura, faccia da collante tra l’istinto dell’uomo, il desiderio dello sballo, il bisogno sessuale, la necessità creativa: le istanze che nella vita spesa per strada e sancita tra le pagine faccia di Veneziani una voce fuori del coro, coerente con la sua giovinezza, esigente nella sua inflessione dissacrante.

Questa raccolta è da leggere se non la si ha mai letta, da rileggere se lo si ha già fatto.

Da comprare e da donare.

Da tenere sul ripiano che nelle nostre librerie riserviamo alla poesia: tra Baudelaire e Pasolini. Tra quelle penne che prima e più di altre hanno cantato quell’aggirarsi furtivo di notte.

Perché è proprio nelle strettoie dell’anima, nelle irregolarità, nelle storpiature, nei picchi di mostruosità, che si rintracciano le voci più autentiche dell’imperfezione umana.

A volte ritornano dicevamo all’inizio. Le edizioni, le raccolte, le poesie, le riflessioni.  

E poi ci sono quelli come Veneziani, che non se ne andranno mai.

Angela Vecchione