Anno 1 | Numero 10 | Luglio 1998

Consiglio un libro difficile da trovare non per fare il figo ma perché è tanto tempo che vorrei regalarlo a diverse persone e ne ho scovato una sola copia nello stand della Rizzoli del Salone del Libro nel ’96 e poi mai più. Era già allora una specie di fondo di magazzino dimenticato sugli scaffali per caso: sfigurava in mezzo ai libri nuovi. Dopo la mia recensione entusiastica, quindi, dovete precipitarvi in libreria a ordinarlo, così qualcuno si deciderà a ristamparlo. Per chi legge in inglese forse sarà più facile godersi l’ironia malinconica di questo libro di Kurt Vonnegut: l’edizione che ho io di Mother Night è del 1992 per la casa editrice Vintage. Una mia amica libraia dice che secondo il suo catalogo esistono di Madre notte due traduzioni italiane: una di SE senza data (25.000) e una di Rizzoli del 1984 (8.000), quella che ho comprato al Salone e che ho regalato a uno che adesso è in vacanza. Se mi capita di citare sarà quindi dall’inglese in traduzione mia improvvisata.

Per chi non conosce Kurt Vonnegut va detto che si tratta di un signore statunitense di ormai settantasei anni, di evidenti origini tedesche; che ha combattuto in Europa nell’esercito americano durante la seconda guerra mondiale e che è stato prigioniero dei tedeschi a Dresda, dove ha assistito a quello che lui definisce nell’introduzione a Madre notte “il più terribile massacro della storia europea”: il bombardamento alleato sulla città, una delle più belle del vecchio continente la cui importanza militare ed economica era praticamente nulla; le vittime furono stimate intorno alle 300.000.

Gran parte della produzione di Kurt Vonnegut trae alimento nei suoi significati profondi, che si possono riassumere sotto il comune denominatore di un appassionato pacifismo, da questa esperienza, descritta parzialmente nel suo libro più celebre: Mattatoio numero 5.

In tutti i romanzi di Vonnegut che ho avuto il piacere di leggere si ripete l’identico miracolo di pagine imbevute di ironia, di disincanto, di autentico divertimento, di fantasia sfrenata, di trovate degne delle storie di fantascienza più scanzonate (mi viene in mente per fare un paragone la Guida per gli autostoppisti della galassia di Douglas Adams), senza che questo implichi la rinuncia a prendere posizione nei confronti della Storia con la S maiuscola e renda meno visibili le motivazioni etiche che inducono Vonnegut a scrivere.

Madre notte non fa eccezione. Il protagonista, Howard Campbell, di cui Vonnegut finge di curare le memorie, è un americano trasferitosi in Germania all’età di undici anni insieme al padre e la madre. Quando allo scoppiare della guerra i suoi genitori tornano negli Stati Uniti, Howard rimane a Berlino, dove ha sposato una bellissima attrice figlia del capo della polizia cittadina, è diventato un noto drammaturgo e ha ottenuto l’incarico di speaker e responsabile delle trasmissioni di propaganda nazista in lingua inglese della radio tedesca; attraverso queste trasmissioni, in realtà, Howard Campbell invia messaggi in codice agli alleati, tramite pause, colpi di tosse e altre irregolarità. Ciò permette, a guerra terminata, di sfuggire all’accusa di crimini contro l’umanità e di trascorrere i quindici anni successivi in incognito a New York, senza che i suoi servigi di spia vengano riconosciuti. La casa newyorchese di Howard Campbell si affaccia su un parchetto dove i bambini giocano a nascondino: “Udivo spesso un richiamo da quel piccolo Eden, un grido infantile che non mancava mai di farmi fermare lì dov’ero e mettermi in ascolto. Era quel grido dolcemente triste che significava che una partita a nascondino è finita, che quelli ancora nascosti devono venir foori, che è ora di andare a casa. Il richiamo era: «Olly-olly-ox-in free». E io, che mi nascondevo da tante persone che avrebbero potuto farmi del male o uccidermi, desideravo spesso sentire quel richiamo rivolto a me, desideravo che qualcuno mettesse fine alla partita a nascondino che stavo giocando da un’eternità con un dolce e triste “Olly-olly-ox-in-free»”.

Ma sfortunatamente per Howard Campbell a gridare «Olly-olly-ox-in-free» sarà un gruppo di nazisti americani in visibilio per aver scoperto l’idolo della loro giovinezza: lo speaker della propaganda tedesca durante la guerra. L’identità di Campbell viene svelata in un delirante articolo del bollettino filonazista “The White Christian Minuteman” in cui si dice: “Howard W. Campbell Jr., grande scrittore nonché patriota fra i più coraggiosi della storia americana, vive ora in povertà e solitudine in un attico al numero 27 di Bethune Street. Questa è la sorte riservata a chi ha avuto l’audacia di dire la verità sulla cospirazione internazionale dei banchieri ebrei e dei comunisti ebrei, i quali non daranno pace finché il sangue di ogni americano non sarà definitivamente inquinato da quello dei negri e/o degli orientali”.

La grottesca cricca di settuagenari che da allora si prende cura della sicurezza di quello che per il resto dell’opinione pubblica americana è un criminale di guerra e un traditore è capitanata dal reverendo Jones, autore, fra l’altro, di un libro intitolato “Cristo non era ebreo”.

Ne viene fuori un romanzo di spionaggio assolutamente strampalato e assurdo, ridicolo ma non per questo meno attrezzato di colpi di scena e sorprese. Un romanzo di cui Kurt Vonnegut dice nell’introduzione: “Questa è l’unica delle mie storie di cui conosco una morale. Non penso che sia una morale meravigliosa; è solo che una volta tanto so qual è: noi siamo ciò che fingiamo di essere, perciò dobbiamo stare attenti a che cosa fingiamo di essere.”

Marco Bosonetto

 

In libreria

Kurt Vonnegut
Madre notte
Feltrinelli, 2013
Traduzione di L. Ballerini
208 p., brossura
€ 9,00
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Di origini tedesche Kurt Vonnegut nacque nel 1922 a Indianapolis (Indiana), città in cui sono ambientate molte delle sue storie. Frequentò la facoltà di biochimica alla Cornell University di Ithaca (New York) lasciandola nel 1943 per prendere parte all’esercito alleato durante la Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1944 venne fatto prigioniero in Germania, nella città di Dresda. Qui assistette al bombardamento che nel febbraio del 1945 rase al suolo la città e causò 135000 vittime civili (si salvò poiché rinchiuso in una grotta ricavata sotto il mattatoio della città normalmente utilizzata per l’immagazzinamento della carne). Questo episodio, anni dopo, verrà ripercorso in chiave solo parzialmente fantascientifica nel suo romanzo più famoso, Mattatoio n. 5.
Dopo la guerra, di ritorno negli Stati Uniti, si trasferì a Chicago, nel ghetto nero. A Chicago riprese gli studi iscrivendosi alla facoltà di antropologia. Nel frattempo, iniziò a lavorare come cronista presso il City News Bureau of Chicago.
Dopo il rifiuto da parte dei docenti della sua tesi (episodio raccontato in un capitolo di Divina idiozia), si trasferì a Schenectady, trovando impiego come pubblicitario presso la General Electric Company. Nel 1951 decise di abbandonare il lavoro per dedicarsi totalmente alla scrittura, trasferendosi a Cape Cod (Massachusetts) e guadagnandosi da vivere scrivendo racconti, sia di fantascienza che di altri generi (per esempio, racconti d’amore come Long Walk to Forever).
Il suo primo romanzo fu Distruggete le macchine, pubblicato nel 1952, un’opera fantascientifica che descrive l’anti-utopia di un’America diventata succube della tecnologia. Nel frattempo, Vonnegut trovò impiego presso una scuola per ragazzi con disturbi emozionali. Alla morte della sorella ne adottò i tre figli.
Nel 1959 pubblicò Le sirene di Titano in cui appaiono per la prima volta gli abitanti del pianeta Tralfamadore. Le Sirene di Titano e il successivo Ghiaccio-nove (1963) sono entrambi romanzi di fantascienza, ma rispetto al romanzo d’esordio i contenuti fantascientifici hanno un ruolo minore, servendo essenzialmente come sfondo per trattare temi di altro genere. Ghiaccio-nove, in particolare, è essenzialmente un libro sulle credenze religiose, e valse a Vonnegut (nel 1971) la laurea honoris causa in antropologia.
Fra la metà degli anni Sessanta e gli anni Settanta pubblicò una serie di romanzi che vengono generalmente considerati il suo apice: il più celebre è certamente Mattatoio n. 5 (1969). Di questo libro venne anche realizzata una trasposizione cinematografica. Fra le altre opere di quest’epoca si possono ricordare Dio la benedica, Signor Rosewater (1965), La colazione dei campioni (1973, un altro libro in seguito trasposto sul grande schermo), e Un pezzo da galera.
Con questa serie di romanzi Vonnegut abbandonò il genere fantascientifico, cui era molto legato, salvo poi tornarvi di quando in quando (per esempio con Galapagos del 1985 e Cronosisma del 1997).
Nel 1971 si trasferì a New York, nel 1972 divenne vicepresidente del PEN e prese a insegnare scrittura creativa alla università di Harvard. Nel 1992 venne nominato membro della American Academy and Institute of Arts and Letters; è stato inoltre nominato “artista dello stato di New York” per l’anno 2001-2002

Fonte: ibs.it