Una famiglia moderna di Helga Flatland è un romanzo vincitore di numerosi premi in Norvegia e arrivato in italia a luglio 2022 per la casa editrice Fazi Editore con la traduzione di Alessandro Storti.

Il romanzo ruota attorno ad un momento preciso quando, nel corso di una vacanza in Italia per festeggiare i settant’anni del padre, i genitori fanno una dichiarazione importante:

«Abbiamo deciso di separarci»

Una frase che segna definitivamente il destino dei tre figli Liv, Ellen e il fratello Håkon perché nessuno aveva mai avuto un sospetto o non c’erano stati elementi tali da poter solo immaginare un proseguo così coinvolgente e sconvolgente per tutti i membri della famiglia.

La scelta fortunata di Flatland è di suddividere il romanzo in cinque capitoli, due per ciascuna sorella e l’ultimo a Håkon, permettendo così di entrare in intimità con i singoli personaggi, con le loro reazioni e comprenderne il punto di vista.

La primogenita Liv, l’unica sposata da anni e con due figli,  accusa il colpo mettendo in discussione il proprio di matrimonio. Crollando l’esempio centrale dal quale prendeva spunto, perde i punti di riferimento e sente ancora più forte il senso di responsabilità nel tramandare le tradizioni e nel tenere uniti i diversi componenti della famiglia.

La sorella di mezzo, Liv accumula a questo dolore quello suo personale di non riuscire a restare incinta e, quindi, vive con ancora maggior disagio il simbolo tradizionale di un matrimonio, quello di procreare per tramandare la stirpe.

L’ultimo, l’unico maschio, è quello che vive molto più da vicino il dramma perché è stato l’ultimo a lasciare il nido riempendo gli ultimi anni della vita matrimoniale dei genitori. Inoltre è l’unico che ha sempre dichiarato «che il matrimonio è una costruzione umana e che è contro natura andare a vivere e rapportarsi sessualmente ed emotivamente con la stessa persona per più di trent’anni.» E, se da una parte la separazione conferma la sua tesi, dall’altra viene a mancare quel punto di riferimento che rappresentava la controparte della sua tesi, che gli permetteva di mettersi in discussione.

Il romanzo è ben strutturato e molto interessante proprio perché i personaggi in crisi sono degli adulti quando siamo perlopiù abituati a pensare che una separazione debba ferire soltanto i figli piccoli.

Flatland indaga sulle elucubrazioni e sugli equilibri familiari permettendo di riflettere su come le singole decisioni incidano sempre sugli altri e come sia importante andare avanti senza nascondersi dietro falsità e sciocche facciate di comodo.

Avrei letto molto volentieri anche ulteriori capitoli con il punto di vista dei genitori riguardo la separazione e chissà, magari l’autrice ci sta lavorando su!

Ci tengo ad aggiungere una piccola nota ad alcuni riferimenti al nostro paese che mi hanno urtato. Si trovano all’inizio del romanzo, quando la famiglia si trova in viaggio verso l’Italia.

«Quando mi viene in mente che, nel paese sotto di noi, più di metà della popolazione trova normalissimo picchiare i bambini»

«La mobilia e la disposizione dell’arredo sono studiate per graziosi italianucci, non per papà e Håkon, con il loro metro e novantacinque»

«Accanto a noi c’è una famiglia italiana, più numerosa della nostra ma seduta a un tavolo più piccolo, a divorare portate su portate […] Altre volte avevo visto le grandi famiglie italiane stare al desco per ore, con bambini e nonni, a vociare e gesticolare come nei film…»

Ammetto che il primo istinto è stato quello di chiudere il libro e non proseguire nella lettura del romanzo ma poi, con calma, ho ragionato e compreso come interrompere la lettura fosse un errore perché il modo in cui gli altri ci vedono non è detto che sia il modo in cui esattamente siamo.
Anzi, ci sono stereotipi, cliché e generalizzazioni che vanno combattuti avendone coscienza e facendo di tutto affinché l’idea comune possa modificarsi e, perché no?, anche quella di Helga Flatland verso gli italiani.

Stefania Piumarta

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