Numero 20 | Maggio 1999

RISALENDO L’ARNO DA PISA

O mia vita mia vita ancora ansiosa
d’un urbano decoro…
Se case e campi diventano vacui
se assurde si fanno le voci
e il velo sollevare non sai più,
è una quella bruma, tristezza
foriera a ritroso dalle foci
d’una sua grigia bellezza.

Poi venne una zazzera d’oro
su un volto nebbioso.

Fu un giorno di fine d’anno
nel torvo tempo di guerra
a Santa Croce sull’Arno.

dicembre 1942

PERIFERIA 1940

La giovinezza è tutta nella luce
d’una città al tramonto
dove straziato ed esule ogni suono
si spicca dal brusio.

E tu mia vita salvati se puoi
serba te stessa al futuro
passante e quelle parvenze sui ponti
nel baleno dei fari.

Minuta antologia dei sentimenti suscitati nell’animo dell’autore dalla reclusione in campi di concentramento del Nord Africa, Diario d’Algeria è il doloroso canto di un usignolo in gabbia ferito non nel corpo, ma nello spirito, dalle sbarre di una cella eterea che violano la libertà di sentirsi vivo dell’uomo Vittorio Sereni.

E in ogni bianco foglio il poeta vorrebbe liberare almeno le sue parole dai vincoli che opprimono il suo senso del dovere di soldato, restando però comunque imprigionato in ben altre catene: il Tempo, che troppo lento fluisce e troppo lentamente, tanto da sembrare fermarsi, reitera all’infinito lo svolgersi di ogni istante, e lo Spazio che troppo immenso e troppo uguale a se stesso si stende d’intorno sotto il cielo d’Algeria.

Sono ricordi e paesaggi, ma soprattutto pensieri ed emozioni, sentimenti di ideali traditi e di aspirazioni soffocate nella monotonia dello stillicidio dei giorni e delle ore i protagonisti delle liriche contenute in questo libello.

Così, secondo l’economia dell’Ermetismo, movimento e filosofia letteraria cui Sereni si sente particolarmente vicino per via dei suoi trascorsi di intellettuale attivo nel primo dopoguerra, anche solo la data di un Natale trascorso lontano dalla terra natia che soffre calpestata dalle suole di militi invasori mentre il suo figlio è costretto spettatore impotente in luoghi bruti,  amplifica a livello esponenziale il senso di angoscia che trasuda dalle già stupende parole di un uomo che forte sente il dovere di difendere la patria e non può farlo.

Ambienti rarefatti, colline, piante, prati, porti, il mare: dipinti tanto inconsistenti da sembrare irreali e comunque trasformati dal sentimento lirico in qualcosa di ben più sublime di come possono esperirli gli altri prigionieri di guerra e gli altri uomini in generale, sono i piccoli capolavori usciti dalla penna dell’artista. Sono i ricordi della guerra che non ha combattuto, dei luoghi che l’hanno visto prima euforico e coinvolto, poi deluso, prostrato. La bellezza di sentimenti espressi come pochi altri avrebbero saputo fare, senza metrica ma con una musicalità aderente alle parole e al modo in cui sono disposte nel testo, come da un maestro che mette insieme i tanti tasselli di un puzzle, ognuno dei quali dice molto di più di quello che, vedendoli insieme, dalla superficie, senza andarne a riscoprire il significato dal profondo, è possibile ascoltare, trasmetter vivo e ancora affascinante il pulsare di un cuore che rapisce il lettore verso paradisi (o inferni) d’oltre mare.

Michele Formichella

In libreria

Vittorio Sereni
Diario d’Algeria
Einaudi 1998
Collana: Collezione di poesia
48 p., brossura
€ 9,00

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